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Morire a 10 anni per una sfida su Tik Tok: "Non abbiamo colpe, ma responsabilità sì"
L’equilibrio tra tenere e lasciare andare? Dare fiducia rassicurante e controllare? Una riflessione sulla tragedia che a Palermo ha portato alla morte di una bambina della Kalsa
Se la redazione di Balarm non avesse sollecitato la mia riflessione sul tragico evento relativo alla “Challenge” – la sfida mortale - che su Tik Tok ha portato alla morte una bambina di dieci anni della Kalsa a Palermo - credo che sarei passato oltre a questa tragedia, non per superficialità, ma perché la ferita da gestire è enorme, una ferita che immagino appartenga a qualunque padre e madre e a chiunque di noi si interroghi sul senso del nostro stare qui ed ora in questo tempo ed in questa società.
La circostanza si presta ad una enormità di frasi di circostanza e di retorica superficiale, che cercherò di risparmiarvi. Sento da genitore il peso devastante che questo epilogo può avere sui genitori della bambina, che immagino come me, e come tante madri e padri che conosco, si interrogano ogni giorno su come affrontare e fare affrontare ai propri figli un mondo tanto diverso da quello nel quale siamo cresciuti.
Controllare non tanto loro, che hanno una vista limpida ed incantata, ma il mondo orribile che anche noi abbiamo costruito attorno a loro. Il fatto è che non esistono genitori che abbiano esperienza, e che abbiano già affrontato un mondo così, nel quale su molte cose i nostri figli sono più competenti di noi, nel quale la comunicazione viaggia su canali rapidi e ingovernabili, determinando pensieri e comportamenti che fin troppo spesso prescindono da noi.
Troppo semplicistico immaginarsi fuori, o pensare che cose del genere a noi non posso accadere, perché siamo vigili, perché controlliamo, perché parliamo spesso con i nostri figli. Il mio timore è che in realtà non abbiamo alcun controllo, perché le dinamiche che hanno portato alla morte questa bambina non le conosciamo e non le comprendiamo.
E sotto il "livello morte" esistono infine sfumature di cose fisiche e psicologiche che possono accadere e che forse stanno già accadendo ai nostri figli delle quali avremo contezza forse troppo tardi. La difesa non è nel singolo, che può e deve difendersi, ma credo sia nella necessità di riorganizzare la società nel suo complesso.
Riprendere il governo delle cose come società, significa interrogarsi più spesso, regolamentare assieme e decidere assieme la struttura che la società deve avere e nella quale vogliamo vivere, senza demandare questa supervisione e controllo, come stiamo facendo, a soggetti terzi.
Il dato è che Tik Tok, Facebook, Instagram, hanno dei parametri interni di filtro e controllo di come lo strumento viene usato.
E tutto è comunque (e sarebbe sbagliato attendersi qualcosa di diverso) orientato al business, o alla “domination”, che si dice sia la frase con la quale Zuckerberg conclude ogni sua riunione di lavoro. Ma noi, come società, in che modo proteggiamo il nostro di business? Che è il mondo nel quale vogliamo vivere insieme alle persone care? Cosa altro è la felicità, se non questo?
L’idea che strumenti pervasivi, come hanno dimostrato di essere i social network, ed in genere tutti i new media, siano lasciati al libero governo delle società private che li possiedono, e che riduca noi a semplici spettatori, apre a mio avviso a gravissime e pericolose conseguenze, e la morte di questa bambina è solo la punta di un immenso problema che io credo sia giunto il tempo di affrontare.
Meriterebbe anche un approfondimento, ma non è nelle mie competenze, capire se queste si sfide siano accettate dai bambini in modo strutturale (tutti i bambini di tutte le epoche tenderebbero ad accettare sfide come queste) o congiunturale (sono i nostri tempi a favorirle).
In ogni caso, chi pensa che questa cosa è capitata a quella famiglia sbaglia prospettiva. È capitata a tutti noi. A me in prima persona. Ed è questo che ho avuto difficoltà a mettere in parola ieri. Non ho nessuna colpa, ma so di avere ogni responsabilità.
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