CURIOSITÀ

HomeNewsCulturaCuriosità

"Messina è 'ncignusa, Palermo è pumpusa": una lunga e storica battaglia a colpi di sfottò

Un percorso ricco di avvenimenti, alcuni dei quali hanno segnato tragicamente la contesa a tal punto da creare una forte inimicizia tra le due città siciliane

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 10 agosto 2024

Piazza Pretoria a Palermo e la Fontana di Nettuno a Messina

Storia e storicismo. Fatti e misfatti che legano spesso forti rivalità tra città.

Anche la Sicilia è parte integrante di un tessuto sociale dove le tradizioni popolari sono radicate da secoli interi.

Se da un lato abbiamo imparato a conoscere l’originalità tra le città di Palermo e Catania citando esempi del tipo: rosanero contro rossoblù (calcio), l’Aquila contro il Liotro (simboli), Santa Rosalia contro Sant’Agata (religione) e arancino contro arancina (gastronomia), i fatti storici interrogano sulla più grande forma di competizione economica.

Quest’ultima riguardava Palermo e la terza città siciliana (attuale), ovvero Messina.

Un percorso ricco di avvenimenti, alcuni dei quali hanno segnato tragicamente la contesa a tal punto da creare una forte inimicizia tra i due comuni. Una lotta accesissima senza esclusioni di colpi.

A partire dal Quattrocento sono presenti forti testimonianze (documenti, atti e proverbi) - nonostante le condizioni demografiche fossero diverse (anche nelle caratteristiche fisiche geografiche e territoriali) - dove le due città litigarono per la preminenza.
Adv
Infatti, i viaggiatori del tempo sottolinearono la sterilità umana della Conca d’Oro. Un territorio - tolte le zone della Zisa e Cuba - senza fortificati né edifici di rilievo.

Un paesaggio contraddistinto dalla presenza di monti, grigio al cospetto della florida posizione messinese. Questa era una “lunga” cintura di casali, popolata ed estesa dal flusso migratorio proveniente dalla vicina Calabria.

Acque limpide, colori vivaci e una condizione futuristica. Due mondi opposti, con due porti diseguali e faccende “di casa” distanti. Appunto i due porti… segnarono la vita del commercio siciliano. Quello di Palermo chiuso e concentrato su poche persone. L'aristocrazia feudale deteneva il potere economico e delle esportazioni del grano.

L’80% delle stesse partiva dai grandi caricatori (sei), con lo scopo di arricchire una piccola parte.

Dall’altro canto, la posizione defilata di Messina permetteva - per le sue qualità naturali, le dimensioni della rada e la posizione fra l’est e l’ovest del Mediterraneo, una tappa obbligata per le navi cristiane. Le imbarcazioni evitavano la collisione certa con i corsari di Algeri, Biserta e Africa.

Inoltre, rappresentava il filo conduttore dei traffici marittimi fra il Tirreno e il Mar Adriatico. La contesa economica ebbe riflessi sulla società civile. Correvano voci che sotto le Tre Torri stava per consumarsi il sorpasso e Messina, nell’arco di pochissimo tempo, sarebbe diventata “Nobile Siciliae Caput”.

Nei vicoli affollati spopolarono detti e sfottò. Divennero i “veri” protagonisti di un conflitto campanilistico.

"Missina è ‘ncignusa, Palermu pumpusa; Missina la ricca, Palermu la licca”.

La disputa municipalistica ebbe ripercussioni negative sulla Corona di Spagna. I monarchi - in totale confusione - difesero entrambe le città provocando l’indebolimento dei due centri, unita alla carestia che colpì principalmente la città peloritana.

Tra guerriglie e spaccature interne, Messina decise di rendersi indipendente dal Regno di Sicilia e fondare una “sorta” di Repubblica Marinara. Scelta irresponsabile per alcuni, geniale per altri.

Le ribellioni con i palermitani non terminarono anzi, a partire dal XVII secolo vennero organizzate una serie di spedizioni punitive.

In quel di Messina venne danneggiata la statua di Nettuno del Montorsoli. La mano aperta del dio olimpico venne trasformata in un gesto volgare (le corna). A Palermo accadde l’inverosimile, con gli avversari che distrussero alcune statue femminili in Piazza Pretoria.

Fin quando, giunto il 1675, gli spagnoli misero a tacere le ire rivoluzionarie messinesi e tutto cadde nell’oblio. Eppur qualcosa si mosse nel 1848, quando le ribellioni anti- borboniche in terra sicula si spinsero fino e oltre i Monti Peloritani.

Gli assedianti provarono un colpo a effetto, promettendo - se il popolo si fosse arreso - di consegnare il titolo di Capitale. I rivoltosi non accettarono compromessi e, dopo un secco no, era “meglio uscire sconfitti che traditori”.

Perché “Si Missina avissi jardini, Palermu fora casalini”. Le epoche moderne hanno estinto ogni forma di disputa.

Le due comunità vivono un periodo di cambiamento, o almeno provano a scrollarsi di dosso certe etichette (negative).

E allora è giusto chiudere così, in perfetta parità: ”Si voi pruvari li peni di lu ‘nfernu, lu ‘nvernu a Missina e la stati ‘n Palermu”.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI