STORIE
Il primo gelato da strada a Palermo: quando ascari e bombette non erano soldati e armi
Era il 1860 quando Oreste Rizzo, proprietario di un carretto con cui distribuiva ghiaccioli in giro per la città, decise di offrire alla sua clientela qualcosa di diverso
Il carretto dei gelati
In effetti il divertimento è parecchio, ma personalmente lo vedevo più come un modo giustificato di fare sana vucciria piuttosto che l’ammirare le prodezze dei giocatori (n’zu che è il fuorigioco?).
Era anche un'occasione per interfacciarsi ed osservare diversi spaccati sociali, che alla fine venivano tutti uniti dall'abbannio del venditore di ghiaccioli al sapore di goal ed ascaretti, ammirando l’enorme capacità balistica di far finire, con un preciso lancio, la merce richiesta tra le mani dell'avventore.
Altri tempi, altri ghiaccioli e gelati ed altre regole di trasuta allo stadio, nel quale so che, ad oggi, per colpa di quattro sfasciallitti cerebrolesi non è possibile entrare neppure con una bottiglietta d’acqua di plastica.
Furono i "turchi", nell'827 circa, che portarono in Sicilia la canna da zucchero, la cui essenza dolciastra, arriminata con la neve che arrivava dalla Madonie o dall’ Etna, (a Piazza Marina c’è ancora Vicolo delle Neve ove anticamente vi era una niviera, luogo deputato alla conservazione della neve), ed essenze di frutta, vaniglia o cannella creava qualcosa di fresco e dolce al palato da gustare in quelle torbide giornata di caldo che facevano addiventare i cristiani (ma anche gli arabi) delle zappe d’acqua.
Era nato l'antenato del sorbetto, chiamato dagli arabi Sciarbat, (pronunciato Scherbeth), il cui significato, per l’appunto, vuol dire sorbire. Il sorbetto così arricriò e raffreddò diverse persone e situazione, evolvendosi successivamente nei ghiaccioli e nella grattatelle.
Ma non era abbastanza.
Così, intorno al 1860, Oreste Rizzo, orgoglioso proprietario di un carretto con cui distribuiva ghiaccioli e grattatelle in giro per la città, capì che era arrivato il momento di offrire alla sua proletaria clientela qualcosa di diverso che potesse farli sentire un pò più signori e vicini alla nobiltà.
Quest’ultimi, difatti, mancu pu chignu si abbassavano a consumare grattatelle e ghiacciola. L’etichetta prevedeva che nel periodo estivo si andasse a fare la passiata lungo la Marina, ed una volta accaldati ci si fermasse da Ilardo, storica gelateria palermitana, a gustare le sue prelibatezze.
Per dovere di cronaca, poco prima del 1860, Giuseppe Cacciatore, originario proprietario della gelateria che fu poi rilevata da Giovanni Ilardo, suo dipendente, dovendo fare i conti con le velleità e le voglie di novità dei palermitani di alto borgo, inventò il pezzo duro.
Un gelato non mantecato da servire come fosse una fetta di torta, e da mangiare raschiandolo con l’apposita e specifica paletta. I gusti disponibili erano cioccolato, nocciola, caffè, fragola, torrone, cassata, (a quei tempi la ricotta in estate era introvabile, per cui l’ unico modo di gustare la cassata era sotto forma di gelato), e la "scorzonera", amabile connubio tra Gelsomino e Cannella.
Ma il Cacciatore, che fissa non era e sapeva come girava il mondo, aveva saputo della trasuta a Palermo dei mille nel 1860, e capendo immediatamente che si respirava aria di cambiamento ed era meglio adeguarsi, creò allora, appositmente per l’evento, il gusto "giardinetto" che con i suoi colori, il verde del pistacchio, il bianco del cedro ed il rosso della fragola ricordava ed omaggiava il tricolore.
Ma Il nostro Oreste Rizzo, ben più umile e popolare, ma di grandi e rivoluzionarie idee, stava già cominciando ad affermarsi nel mondo del gelato palermitano, e notando che il popolino non poteva permettersi di andare ad assittarisi da Ilardo, immediatamente realizzò che vi era una grossa fetta di mercato da soddisfare, proponendo un gelato che fosse da passeggio e vendibile in ogni luogo come i ghiaccioli ma sempre a picca piccioli.
Realizzò, quindi, una preparazione a base di gelato fiordilatte che poi ricoprì con una colata di cioccolato fondente racchiudendolo così in una croccante copertura, (più in là il Rizzo ne propose una versione anche con pezzetti di mandorla nel cioccolato. Fatelo sapere in giro chi ha davvero inventato il Magnum!).
Infine, per presentare le merce ed evitare che il caldo rovinasse il prodotto, Oreste li mise impilati come tanti piccoli soldatini incastrandoli si un blocco di ghiaccio e portati in ogni angolo abitato dal volgo con il suo carrettino.
Mangia oggi, addenta domani, “ma stu gelato è troppo bello” dopodomani, la gente era entusiasta dell'invenzione di Oreste, ma ogni volta non si sapeva mai come chiamarli, perché Oreste aveva pensato a tutto ma non ad un nome.
"Oreste..va rammi uno di di cuosi… come i chiami…da iddu se!”
Non poteva andare avanti così, così con l’avvicinarsi dei tristi eventi del regime dittatoriale in Italia, il popolo cominciò a notare che quelle prelibatezze, oramai vendute dagli eredi di Oreste, accussi sistemati, tutti nivuri, somigliavano incredibilmente agli Ascari, una popolazione indigena originaria dell’Eritrea che su forzatamente reclutata, nel 1940, dal regio esercito.
Ecco che allora chiamarli Ascaretti venne quasi spontaneo, d’ altronde, in arabo, manco a farlo apposta il termine "Askarì" significa proprio soldato.
A quei tempi il politically correct manco sapevano inni stava i casa, per cui niente polemiche.
Purtroppo, a causa dei nefasti eventi, la premiata ditta Rizzo e figli, conobbe anche la sconfitta. Quando il regime fascista impose la nazionalizzazione, le materie prime, (soprattutto il cioccolato), erano irreperibili.
Come se non bastasse, il popolo, oppresso e stremato, cominciò ad identificare negli Ascaretti, a causa del loro colore, le tanto detestate camicie nere, autrici di prepotenze e supicchiarie.
Ci pensò la Motta, nel 1948, quando fece arrivare su mercato il suo Mottarello, perfetta copia dell'ascaretto, a rivalutare il tutto, dando così il via all'invasione dei gelati industriali.
In contemporanea la Motta mise in commercio il famoso "Mottino", una delle primissime merende confezionate il cui nome a Palermo indica ancora oggi una qualsiasi tortina confezionata e di cui ci occuperemo in un altro articolo.
Ma i nostri gelatai non si diedero per vinti, e nonostante i tempi davvero duri dell’immediato dopo guerra cercarono di allietare la popolazione con la loro maestria.
Era complicato riuscire a trovare delle forme per fare del gelato con lo stecco, (e prima avianu a trovari gli stecchi), per cui l’ingegno li portò ad usare le ogive vuote delle bombe esplose che, ai tempi, abbondavano tra strade e macerie.
Il gelato che ne uscì, proprio perché ricordava gli ordigni bellici, venne chiamato, per l’appunto, Bombetta.
Anche in questo caso, non passò molto tempo che l'azienda Algida, fondata nel 1946, arrivasse sul mercato, forse per fare concorrenza alla Motta, con le bomboniere, piccoli bocconi tondeggianti fatti da gelato gusto panna ricoperti da cioccolato croccante che, cose i fuoddi, erano uguali alle bombette inventate dai nostri gelatai.
Che il cuore di panna si isse a ammucciare, il vero gelato di strada lo abbiamo ispirato ed inventato noi.
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