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Cose che forse non sai di Palermo: nel "Decameron" le cronache erotiche della città

Com'era la Palermo di metà Trecento lo sappiamo grazie a Giovanni Boccaccio che, nella sua celebre raccolta di Novelle, riporta fatti e misfatti dell'epoca

  • 1 novembre 2019

"A Tale from the Decameron" quadro di John William Waterhouse (1916)

Il Decameron, o Decamerone (dal greco antico: "dieci" e "giorno" nel senso di " di dieci giorni") è una raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nel il 1350 circa: una delle novelle è ambientata a Palermo.

Più che la storia in se stessa, sono interessanti le notizie che descrivono Palermo ed un certo tipo di vita che si svolgeva in essa. In quel tempo la città aveva la fama di essere la più viziosa al mondo (quello allora conosciuto). Ma i baroni nordici, i prelati europei ed i frati spagnoli che in seguito si stanzieranno la "occidentalizzeranno".

La vita mussulmana, i bagni e le meraviglie idrauliche, ne fecero una città piena di giardini e ricca d’acqua diventeranno un ricordo. Ma i costumi libertini e licenziosi, magari sotto altra forma, ricompariranno nei secoli successivi. Ma questa è un’altra storia. Parliamo intanto di Boccaccio, che è inconsapevolmente il migliore cronista dell’epoca.
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La storia raccontata nella sua novella è lla storia di ser Niccolò da Cignano, mercante fiorentino detto Salabaetto, capitato a Palermo in Cicilia (Sicilia) dove "similmente erano, e ancor sono assai femmine del corpo bellissime ma nemiche della onestà, le quali, da chi non le conosce, sarebbero e son tenute grandi e onestissime donne"

La protagonista è madonna Biancafiore (in siciliano Jancofiore) che incarna quanto detto, il cui scopo è di svuotare completamente le tasche di Salabaetto. Essa non è una prostituta ma una donna di gran classe, che adotta una lunga e complicata strategia per raggiungere il suo scopo.

Il primo appuntamento si svolge in un bagno pubblico, probabilmente musulmano, la donna l’ha preso in affitto per tutta la mattinata.

Salabaetto arriva per primo, poco dopo "due schiave venner cariche: l’una avea un materasso di bambagia bello e grande in capo, e l’altra un bellissimo paniere pien di cose, e steso questo materasso in una camera del bagno sopra una lettiera, vi miser su un paio di lenzuola sottilissime listate di seta, e poi una coltre di bucherame cipriana bianchissima con due origlieri lavorati a meraviglie, e appresso a questo spogliatesi ed entrate nel bagno, tutto quello spazzarono e lavorarono ottimamente".

Poco dopo la donna con due altre due schiave appresso venne al bagno: dove ella come prima ebbe agio fece a Salabaetto grandissima festa, e dopo i maggiori sospiri del mondo, poiché molto abbracciato e baciato l’ebbe, gli disse: "non so chi mi s’avesse a questo posto conducere altri che tu, tu m’hai miso lo foco all’arma, toscano acanino".

Si capisce che madonna Biancofiore è addestrata alla scuola mussulmana, usa, infatti, il termine "acanino" che è la derivazione della parola mussulmana hanin cioè dolcissimo.

Salabaetto, naturalmente è lusingato e già s’immagina di vivere un’avventura galante indimenticabile. "Come a lei piacque, ignudi amenduni entrarono nel bagno e con loro due delle loro schiave. Quivi, senza lasciargli por mano addosso ad altrui, ella medesima con sapone moscoleato (profumato al muschio) e con garofanato meravigliosamente e bene tutto lavò Salabaetto, e appresso se fece lavare e stropicciare alle schiave".

Questa descrizione del bagno destò stupore. A quei tempi, infatti, solo in Sicilia ci si lavava. A Firenze e nel resto d’Italia, il bagno si faceva forse a Pasqua o in qualche altra grande ricorrenza, a detta dei cronisti del tempo le madonne (semplici donne) "haveano uno pochettino di rogna su le mani".

In Sicilia ci si lavava grazie alla civiltà idraulica dei Mussulmani. La tecnica seduttrice di Biancofiore era senza dubbio più evoluta di quella che avverrà nei secoli futuri. Il bagno nella Palermo trecentesca era un rito, non la rapida sguazzata al fine di lavarsi.

Salabaetto fu dapprima preparato psicologicamente dalle due schiave ignude che preparavano il bagno, poi insaponato "meravigliosamente bene e tutto" da madonna Biancofiore senza mai poterla toccare neanche con un dito, innalzando così la sua concupiscenza.

A questo punto "recaron le schiave due lenzuoli bianchissimi e sottile, de’ quali veniva sì grande odor di rose che tutto ciò che v’era pareva rose, e l’una avviluppò nell’uno Salabaetto, e l’altra nell’altro la donna, e il collo levatigli amenduni nel letto fatto ne gli portarono. E quivi, poi di che sudare furono restati, dalle schiave fuor de què lenzuoli tratti, rimasono ignudi negli altri. E tratti da quel paniere oricanni d’argento bellissimi e pieni qual d’acqua rosa, qual d’acqua di fior d’aranci, qual d’acqua di fior di gelsomino e qual d’acqua nanfa, tutti costoro di queste acque spruzzarono; e appresso tratte fuori scatole di confetti e preziosissimi vini, alquanto si confortarono>. A Salabaetto <pareva di essere in paradiso".

Tuttavia quella notte non potè soddisfare tutte le sue voglie. Madonna Biancofiore, infatti, lo invita a casa sua per la notte.

Qui, Salabaetto fu "lievemente ricevuto, con gran festa e ben servito, cenò. Poi nella camera entrati, se ne sentì quivi meraviglioso odore di legno aloè e d’uccelletti cipriani (pezzettini di pasta profumata in forma d’uccelli che si ardevano in bruciaprofumi), vide il letto ricchissimo e molte belle robe su per le stanghe, le quali cose, tutte insieme e ciascuna per sé, gli fecero stimare costei doveva essere una grande e ricca donna".

Il mattino dopo "ella gli cinse una bella e leggiadra cinturella d’argento con una bella borsa e sì gli disse: Salabaetto mio dolce, io mi ti raccomando: e così come la mia persona è al piacer tuo, così è ciò che ci è e ciò che per me si può, è allo comando tuo".

Alla fine madonna Biancofiore riuscirà a spennare Niccolò da Cignano ma questi saprà in seguito prendersi la rivincita.
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