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Una montagna "tagliata in due" per salvare la Città dei Templi: Agrigento e la malaria

Cento anni fa la Sicilia era ancora funestata dalla malaria. Luigi Pirandello ha descritto nelle sue opere i suoi concittadini  “consunti e ingialliti dalla malaria” e  le campagne “infestate” nei mesi estivi dalla malattia

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 14 giugno 2022

Campagna antimalarica in Italia nel 1948-50 (foto di Wolf Suschitzky)

Ancora cento anni fa la Sicilia era funestata dalla malaria e la città di Agrigento, tra le altre, fin dal suo sorgere (2600 anni fa) ha dovuto fare i conti con questa endemia. Lo storico Diogene Laerzio narra che il filosofo agrigentino Empedocle fece tagliare in due una montagna per salvare la Città dei Templi.

Più precisamente: la città di Agrigento si dispone sulla sommità di due colline, il colle di Atena, ad ovest, e la Rupe Atenea, ad est, un tempo separate da un avvallamento che secondo la tradizione è stato creato artificialmente dal filosofo Empedocle per permettere all’aria salubre di circolare nella città sottostante afflitta dalla malaria. Il taglio ad opera di Empedocle sarebbe stato fatto allo scopo di far riversare sulla città, nei mesi estivi, una corrente di aria fresca di tramontana ed allontanare così la malaria, determinata dalle acque stagnanti del fiume Akragas.

Fonti storiche ed archivistiche attestano che nella provincia di Agrigento la malaria era diffusa soprattutto a Cammarata nel 1141; nella zona di Burgio nel 1172; a Licata nel 1398, a sud di Girgenti (Girgenti era l'antico nome di Agrigento) nel 1253.
Più di recente, un altro celebre agrigentino, Luigi Pirandello ha descritto nelle sue opere i suoi concittadini “consunti e ingialliti dalla malaria” e le campagne “infestate” nei mesi estivi dalla malattia, che sembravano “respirare” dopo le piogge abbondanti che fanno calare la piena nei fiumi.
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Nell’Agrigentino - spiega in una relazione un medico della Croce Rossa negli anni venti del secolo scorso - “mai nulla si era fatto o ben poco in qualche posto per attenuare almeno i disastrosi effetti della malaria, e dove a questo “si aggiunga la massima ignoranza dei contadini, imbevuti ancora di pregiudizi e le loro pessime condizioni igieniche, dipendenti dalla loro indigenza e dalla loro incoscienza, ove si pensi che su queste genti pesa ancora il latifondo, con tutte le sue oppressioni e le sue infinite miserie, non potrà recare sorpresa l’incontrastato dominio della malaria”.

La Croce Rossa era impegnata nella distribuzione del chinino, il miglior rimedio allora scoperto per far fronte dalla diffusione della malaria, ma nel corso della campagna per la sua distribuzione tra la popolazione accaddero manifestazioni d’intolleranza. A Burgio, in provincia di Agrigento, nonostante gli abitanti fossero tra i più colpiti dalla malaria, si sparse la voce che “il Governo faceva distribuire dalla Croce Rossa un misterioso veleno sotto forma di confetti". La popolazione, fucili alla mano, costrinse l’infermiere addetto alla distribuzione ad allontanarsi dalla città.

La situazione era aggravata dalle pessime condizioni igienico-sanitarie delle città. “In generale - notava il Prefetto di Girgenti (oggi Agrigento) nel 1887 - operai, artigiani e contadini hanno abitazioni che si potrebbero dire antri senza luce, senz’aria, umidi per tale ragione o per la natura dei materiali con cui sono costruite, senza cessi, ove insieme agli uomini vegetano pure gli animali, nocive alla salute degli abitanti e, spesso, di conseguenza, alla pubblica”
Ma anche chi trascorreva le notti all'aria aperta o nei cosiddetti pagliai, specie durante l’estate, veniva attaccato dalle zanzare malariche.

Altri centri dell’agrigentino, tra i più colpiti in Italia, furono Sciacca, Villafranca, Burgio, Ribera.

Si evidenziò che, tra le donne, le più colpite erano lavandaie. Le cronache del tempo ci dicono che a Ribera, altro centro della provincia agrigentina, essendo il paese collocato sopra un altipiano, privo di acqua, moltissime donne si recavano al fiume Verdura per farvi il bucato. E vi accorrevano numerose ogni giorno tanto le popolane che vanno a lavarvi la biancheria della loro famiglia, quanto le lavandaie di professione che vanno per il bucato dei signori. Moltissime di queste donne variabilissime in rapporto all’età, vennero colpite dalla malaria.

Altri focolai di miasmi infettivi erano identificati nella immersione dei lini in un vicino torrente e nelle risaie. Nella zona di Agrigento sette villaggi avevano ciascuno una risaia nei pressi del centro abitato e la macerazione del lino era praticata in 33 delle 42 cittadine della provincia.

Paludi e acque stagnanti creavano l'habitat ideale per lo sviluppo delle zanzare.

Nella prima metà del XIX secolo l'1,81% della provincia di Girgenti, soprattutto nella parte occidentale del territorio, era paludoso. Si ricorda in particolare la contrada Cannatello (bonificata solo a partire dal secondo decennio del Novecento).
Il principale vettore dell’endemia malarica in Sicilia è stato infatti Anopheles Labranchiae, specie di zanzara che determinava forme di malaria particolarmente gravi.

All’inizio del XX secolo, in provincia di Agrigento 154.850 dei 310.200 abitanti (49.91 per cento) risiedevano in zone malariche e precisamente, 14.700 in zone di malaria gravissima; 87.300 in one di malaria grave, 52.850 in zone di lieve infettività. Il problema delle febbri malariche fu quasi del tutto disatteso dal governo borbonico ed anche da quello italiano per molto tempo.

Nella provincia di Agrigento l'unico drenaggio delle paludi effettuato prima del 1912 fu realizzato dalla “Stazione” antimalarica con base a Favara. Queste cosiddette “Stazioni” ebbero il merito di risvegliare la popolazione all'uso del chinino, ma la malaria prima metà del XX secolo, continuò ad essere endemico ed epidemico in tutta la provincia. Finalmente a partire dal 1905 la Croce Rossa diede il via ad una serie di campagne sanitarie, intervenendo nelle zone più colpite dal flagello. La prima campagna fu realizzata tra gli zolfatai e i contadini, che ben presto si resero conto dei benefici del chinino.

La profilassi chininica e la bonifica delle paludi, insieme a interventi educativi nella scuole (ricordiamo la diffusione del testo “Brevi elementi di lotta antimalarica per i Balilla”, in epoca fascista), i trattamenti col Ddt, iniziati nell’isola dagli eserciti di occupazione alleata, un radicale cambiamento di mentalità delle popolazioni e migliori condizioni igienico sanitarie hanno lentamente prodotto un processo di eradicazione della malaria, la cui diffusione si è profondamente intrecciata con lo sviluppo economico e la evoluzione della società agrigentina per molti secoli.
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