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Un anfiteatro, l'acquedotto e le terme: c'è una piccola "Roma" a due passi da Palermo

I romani compresero subito l’importanza strategico-militare di questa città che, grazie alla sua posizione geografica, risultava inespugnabile per qualsiasi invasore

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 5 aprile 2021

Fu durante la prima guerra punica (264 – 241 a.C.) e in particolare nella decisiva battaglia delle isole Egadi che il dominio di Roma giunse nell’Isola. Da quel momento i cartaginesi dovettero abbandonare la Sicilia per sempre.

Roma comprese subito l’importanza strategico-militare della città di Termini Imerese che, grazie alla sua posizione geografica e alla presenza di grosse mura, risultava inespugnabile per qualsiasi invasore. La conquista romana apportò alla città benessere e splendore.

In breve tempo l’antica Thermae venne munita di imponenti strutture a carattere sociale. Il Foro: uno spazio, oggi totalmente interrato, e sito nelle vicinanze dell’attuale piano del Duomo; l’acquedotto Cornelio; l’Anfiteatro; e ancora numerosi edifici pubblici come la cosiddetta “Curia”; e le Terme già note a Pindaro, Diodoro Siculo, Strabone e Silio Italico.

Tutti questi edifici sottolineano la straordinaria importanza della città, infatti, in breve tempo divenne la “cerniera” tra le Madonie e le rotte commerciali verso i mari del nord.
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Iniziò, quindi un periodo di notevole sviluppo economico al punto che la città si fregò del nome di Thermae Imeraien anche nelle sue monete. Tra le costruzioni più imponenti vi è senza alcun dubbio l’acquedotto Cornelio. Questa colossale struttura, denominata Aquae Corneliae Ductus, venne realizzata tra il I-II secolo d. C.

Esso rappresenta, senza alcun dubbio, la maggiore costruzione idraulica realizzata dai romani in Sicilia. Era in grado di trasportare l’acqua, dalla sorgente Brocato, fino al centro della città, per un percorso di circa otto chilometri, in cui, grazie al principio dei vasi comunicanti, era possibile oltrepassare notevoli dislivelli.

Lungo tutto il percorso, la struttura si sviluppava con tratti di condotta sotto terra e con arcate a tutto sesto. In un tratto, quello in contrada Figurella, le arcate sono state realizzate a doppio ordine a causa del notevole dislivello. La porzione di acquedotto che si trova nell’attuale via Falcone e Borsellino, nel 1338 venne ricostruita dopo che gli angioini, di Carlo d’Artois, lo avevano distrutto perché intenzionati a impedire il rifornimento idrico e ottenere una rapida resa dei termitani.

Nel piano di San Giovanni è possibile ammirare i resti dell’Anfiteatro romano.

Esso era tra le opere che dovevano meravigliare il passante per l’imponenza della struttura, era visibile anche per chi proveniva dal mare. Lo studioso termitano Baldassare Romano, durante gli scavi realizzati nel XIX secolo, ricostruì le dimensioni dell’opera: pianta a forma ellittica, con il diametro maggiore di 87 mt., mentre quello minore di 58 mt.

Probabilmente, la struttura era circondata da 36 piloni che formavano un portico a due ordini, mentre l’arena misurava 51 mt., il diametro maggiore, e 27 mt. quello minore.

Osservando una foto aerea della città è possibile individuare il perimetro esterno dell’anfiteatro: infatti gli insediamenti abitativi, costruiti nei secoli successivi, seguono un andamento ellittico perché utilizzano le solide fondazioni della struttura romana.

Altri esempi di anfiteatri in Sicilia si riscontrano a Catania e Siracusa. Quello della città delle terme è il più piccolo in ordine di dimensioni. Qualche secolo dopo il viaggiatore e geografo arabo Idrisi del XII secolo, nella sua opera dedicata a Ruggero così lo descrisse “(…) come degli avanzi di antichità che dimostrano il valore attestandone la valenza del suo architetto (…)”.

Anche il Dizionario topografico della Sicilia, del Vito Amico, tradotto dal latino da Giochino di Marzo nel 1856, il monumento risulta già segnalato. A un centinaio di metri dall’anfiteatro, più precisamente all’interno della Villa Palmeri, è possibile osservare i resti della “Curia”.

L’edificio pubblico venne realizzato tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C. e secondo alcuni studiosi assolveva le funzioni di palazzo di Città. Secondo altri non si può escludere che si trattasse di una domus signorile o di un collegium.

Gli scavi prima eseguiti dal Baldassare Romano nel 1827, in seguito da Ignazio De Michele e Enrico Jannelli nel 1864 hanno riportato alla luce una pianta organizzata da diversi ambienti di forma rettangolare di cui uno, quello più grande, è absidata. Le varie destinazioni d’suo, tra cui quella di cimitero degli Ebrei nel XVI secolo, hanno danneggiato l’edificio che col tempo si è in parte interrato.

In prossimità la piazza Duomo è facilmente raggiungibile la via Marco Tullio Cicerone dove si trova il Museo civico intitolato all’erudito termitano “Baldassare Romano”. Buona parte del piano terra della struttura è destinata alla conservazione di reperti preistorici, della città di Himera, della colonia romana e del periodo islamico.

La grande sala dedicata a Thermae, esalta l’alto prestigio della città in epoca romana e primariamente in età augustea. In una porzione della sala, si ammirano alcune cornici architettoniche, databili al I secolo d.C., quasi tutte provenienti da edifici pubblici.

Sul lato opposto della sala, sono conservate una serie di tubazioni sia in terracotta che in piombo, di diversa datazione, appartenenti all’acquedotto Cornelio. Numerose sono le sculture custodite, tra le quali quelle di alcuni togati acefali nonché alcuni ritratti di notevole valore artistico. Un altro edificio rilevante sono senza alcun dubbio le terme.

Lo storico Diodoro Siculo, nel libro IV, riferisce che il mitico Ercole, tra una fatica e l'altra, giunse a Thermae Himerenses, proprio in quelle terre consacrate al culto della dea Athena. Quest'ultima accolse l'eroe e ordinò alle ninfe e alle naiadi di far sgorgare dei bagni caldi per alleviare le fatiche del Ercole.

Anche il grande geografo greco Strabone, riferisce di sorgenti calde in Sicilia sostenendo come quelle di Selinunte e d'Imera sono salse e quelle Segestane sono potabili. Una delle prime ricostruzione grafiche dell'edificio romano è quella del pittore e architetto francese Jean Pierre Houel (1753 - 1813), particolarmente interessato ai monumenti romani presenti in città.

Egli ricostruì, con particolare dovizia, il rilievo delle Terme, tutt'oggi custodito al Museo Hermitage di San Pietroburgo. Alla fine del XVII secolo fu costruito in corrispondenza della struttura circolare un edificio di forma rettangolare.

Questo fabbricato venne sottoposto a diverse ristrutturazioni, tra queste quella ad opera dell’architetto Alessandro Emanuele Marvuglia avvenuta nei primi dell’800.

Successivamente, a poca distanza dell'edificio circolare, durante la realizzazione del Grand Hotel delle Terme, progettato dall'architetto Damiani Almeyda (1834 - 1911), vennero alla luce numerosi ambienti tra cui un edificio rettangolare, probabilmente di origine araba, identificato come il bagno delle donne, oggi non più visibile perché inglobato nella struttura di fondazione.

Numerose sono le fonti antiche che fanno riferimento ai bagni termali tra queste ricordiamo quella del grande poeta greco Pindaro nell'Ode XII delle Olimpiche, che oltre ad esaltare le doti atletiche dell'imerese Ergotele, cita anche le acque calde.

Nell'affresco denominato: "Scipione restituisce a Termini le statue trafugate dai Cartaginesi ad Himera", sito all’interno del palazzo di Città di piazza Duomo e realizzato da Vincenzo La Barbera nel 1610, è rappresenta una veduta ideale della città che mescola edifici contemporanei al pittore termitano con edifici di epoca romana, idealmente ricostruiti e posizionati topograficamente dove dovevano sorgere.

Sulla sinistra si può notare l'imponente anfiteatro a doppie arcate, in basso a destra si nota un edificio con arcate: si tratterebbe con molta probabilità delle Antiche Terme.
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