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Quel decennio di libertà chiamato Blow Up: "Ci sentivamo a Berlino ed era Palermo"

Per anni il locale di piazza Sant'Anna è stato punto di riferimento di intere generazioni e ha aperto le porte porte a chiunque avesse voglia di condividere idee, progetti e utopie

  • 1 gennaio 2021

L'insegna del Blow Up a Palermo

Palermo, 31 ottobre 2001. Un gruppo di ragazzi, fra i quattordici e i vent’anni, tira su per la prima volta la saracinesca del numero civico 17 di piazza Sant’Anna per una festa che cambierà la storia di un pezzo di città.

Sembra un mercoledì qualunque, ma non è così: quei ragazzi, infatti, non sanno ancora che compiranno quel gesto, fra alterne vicende, chiusure amministrative e porte incendiate, per quasi un decennio. Un decennio di musica, politica, associazionismo e volontariato.

Un decennio di incontri, bevute fra amici, amori nati per caso. Un decennio di Blow Up. Non un locale, non un’associazione, non un circolo Arci, ma molto di più. Perché il Blow Up, per anni, è stato punto di riferimento per intere generazioni che hanno vissuto quel luogo come una casa dove «si respirava libertà».

Una casa dove sono nate tante speranze (il movimento per Rita Borsellino era una di queste), che ha aperto le sue porte a chiunque avesse voglia di condividere idee, progetti e utopie.
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«Potevi essere ricco o povero, punk o fighetto, liceale, universitario o lavoratore, italiano o straniero» e non sentirti fuori posto. Da quel portone, tranne che per brevi periodi forzati, «non hanno mai smesso di entrare e uscire persone, quelle quattro mura non hanno mai smesso di chiedere sudore, sangue e lacrime dando in cambio sogni, amicizia e l’illusione che davvero insieme si possa cambiare qualcosa».

C’era chi rivendicava l’affermazione dei propri diritti e chi la difesa contro ogni discriminazione, c’erano le associazioni studentesche e quelle di volontariato, c’erano l’Arcigay ed Emergency.

E non solo, perché quella saracinesca è stata tra le prime ad alzarsi a Palermo per accogliere Addiopizzo. «Quando siamo arrivati, in quella piazza, non c’era nulla. Il pub più vicino erano I Candelai e in quella zona non ci si sentiva tranquilli a camminare di notte - racconta lo storico fondatore Manfredi Lombardo -. Soltanto l’incoscienza della giovane età ci ha permesso di aprire senza neanche fare i conti col pizzo. Abbiamo fatto come fossimo a Berlino e invece eravamo a Palermo».

A sentirlo parlare di quegli anni, sembra quasi di tornare improvvisamente indietro nel tempo. Ha infiniti aneddoti da raccontare Manfredi: dal fratello più grande di Antonio Di Martino che bussa alla porta per lasciare un cd dei Famelica (così da far varcare i confini di Misilmeri al promettente fratellino più piccolo) al pungente Nanni Moretti che, dopo un’iniziativa, osserva le sue scarpe perché «ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo».

Aneddoti che si mescolano con i ricordi vivi di chi, come Fabrizio Pedone, quella casa l’ha costruita insieme agli altri, pezzo dopo pezzo: «Un giorno, non ero ancora presidente del circolo, entrai e trovai Saponetti (userò un nome fittizio per non urtare la sensibilità di nessuno) steso a terra. Per qualche secondo mi chiesi cosa ci facesse lì sdraiato, poi capii. Dall’alto di un’impalcatura Natale, con il pennello in mano, gli chiedeva/ordinava di spostarsi. Si stavano dipingendo le pareti e mancava uno strumento di misurazione. Saponetti stava facendo il metro umano».

Già, perché al Blow up mancava sempre tutto. E chi ha fatto parte di un’associazione, di un circolo, di un partito o di un sogno collettivo può capire benissimo cosa voglia dire.

Significa che se devi organizzare un cineforum ovviamente manca il proiettore e devi scappare in “motorino” a recuperarlo all’ultimo secondo utile dall’amico della cugina del fidanzato di turno, se c’è un dibattito a cui parteciperanno importanti nomi della politica hai chiaramente dimenticato di avvertire quelli della lezione di tango che per quel giorno non potranno ballare come al solito e te lo ricordi solo quando li vedi arrivare, significa che se è tutto pronto per una festa il cd più importante non funziona e ti inventi di tutto per intrattenere i primi arrivati in attesa di rimasterizzarne un altro.

Quello che però non mancava, in quegli anni dove il virtuale non aveva ancora intaccato i rapporti umani, erano le persone: con le loro aspirazioni, la loro voglia di fare e di camminare verso l’utopia. Perché anche se sembrava impossibile, essere insieme dava la forza e l’energia per provarci, e questa era l’unica cosa che contava veramente.

Adesso quella saracinesca è abbassata e tutti i ragazzi e le ragazze che hanno attraversato quel luogo sono dispersi nel mondo provando a seminarlo ognuno con i propri ideali e i propri progetti.

Non c’è spazio per la tristezza perché, come dice Fabrizio, «passare da piazza Sant'Anna e vederla piena di vita anche di sera fa capire che il seme piantato è sbocciato. Ai tempi del Blow Up immaginare un centro storico pieno di gente, valorizzato dalle aree pedonali e da tante attività giovanili sembrava un'utopia.

Oggi purtroppo, in questo tempo sospeso, sembra che tutto sia tornato come allora, ma in fondo non è così e presto, fra le strade della Fiera Vecchia, torneranno le chiacchiere, gli amori e le canzoni».

E chissà, magari dal numero civico 17 di quella piazza ormai diversa un giorno riprenderanno a camminare le speranze sulle gambe di nuove generazioni.
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