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Quando a Palermo era fiorente il business della neve: storie e memorie dei secoli scorsi

Oggi nessuno ricorda più le botteghe che vendevano la neve, di cui resta la memoria "di strada": vicolo della Neve all'Alloro era solo uno dei luoghi del fortunato business

  • 8 febbraio 2019

Un tempo, quando arrivava l’estate, sorgeva la necessità di preservare il cibo e di raffreddare l’acqua.

Tuttavia i nostri predecessori avevano trovato un metodo per risolvere questo problema: usavano la neve. L’acqua potabile veniva conservata nelle "quartare" o "bummuli" (quartara di piccole dimensione) che per il loro trasudamento e la successiva evaporazione manteneva il liquido a temperatura ambiente.

Nonostante ciò, nel mese di agosto anche l’acqua della quartara si riscaldava.

I nobili risolvettero questo inconveniente mandando i loro servi a cavallo a prelevare l’acqua in alcuni pozzi che si trovavano all’interno di alcune chiese, dove la temperatura dell’acqua era più fredda: Sant’Agata alle Mura (non più esistente), San Giuliano (non più esistente) ed in quella degli Angelini.

Il popolo non avendo questa possibilità, era costretto a bere l’acqua tiepida delle quartare. Grazie al "Diario" di Filippo Parura e Niccolò Palmerino sappiamo che nel 1577 "si incominciò ad usare il bevere arrifriscato con neve". Fu lo Spagnolo Luigi Castelvì Valenziano che nel 1546 introdusse l’uso della neve per refrigerare l’acqua ed il cibo.
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Sulle montagne si fruttavano le cavità naturali o si scavavano apposite fosse dove si conservava la neve. Queste fosse erano denominate "neviere" (scopri di più sull'incanto delle neviere sui Nebrodi).

Le neviere create dall'uomo ('ntacchi) avevano una profondità di 2 o 3 metri ed erano realizzate in luoghi dove la neve, spinta dal vento verso un piccolo ridosso, si potesse accumulare (cugneri). In tal modo le fosse si riempivano anche in caso di scarse nevicate.

Questa neve, veniva trasportata nelle città e venduta alle botteghe adibite a questo scopo.

L’uso della neve fu un colossale affare che contribuì alla sopravvivenza delle classi più povere ed all’arricchimento dei grandi appaltatori nobili o borghesi che si alternarono nella sua gestione.

La richiesta di questo elemento naturale fu talmente alta che il Senato palermitano scrisse un regolamento per evitare gli abusi, la frode, le norme igieniche per la conservazione ma anche per aumentare gli introiti dell’Erario cittadino.

Nel 1577, fu concesso il "diritto proibitivo" di vendere neve a Don Fabrizio Valguarnera, barone di Godrano, esentandolo dal pagare le tasse.

In seguito si impose il dazio di un grano a rotolo (grammi 790) di neve. Come sempre accade quando ci sono forti interessi economici, altri Bandi furono pubblicati. L’appaltatore della neve si impegnava a non fare mancare mai la merce, perciò alcune volte era costretto a reperirla "dalle rinomate montagne di Troina, Randazzo e Monte Mongibello".

Anche le montagne che circondavano Palermo erano dotate di neviere: Altofonte e Monte Caputo.

Altro elemento che ci fa capire l’importanza di questo commercio è quello che i trasportatori di neve dovevano entrare in città soltanto da Porta Nuova, Porta dei Greci e Porta di Vicari (Sant’Antonino).

L’uso di usare la neve scomparve neo XIX secolo con la nascita delle prime fabbriche di ghiaccio. Anche queste fabbriche, con il tempo furono soppiantate dalla nascita del frigorifero.

Oggi nessuno ricorda più le botteghe che vendevano la neve ad eccezione della Toponomastica cittadina: vicolo della Neve all'Alloro (via Butera, via Alloro). Denominata “all’Alloro“ per distinguerla dalle altre che si trovavano in città.

L’odierna via delle Scuole (via V. E, adiacente alla Biblioteca Regionale) un tempo era denominata "della Neve". In seguito assunse l'odierna denominazione per la vicinanza del collegio dei Padri Gesuiti che in precedenza si chiamava Casa delle Scuole.

L’odierno del vicolo Viola (via Ponticello), un tempo era denominato Nevaio perchè sul luogo si trovava un venditore di neve.

In seguito assunse l’odierna denominazione perchè fu abitato da un uomo di tale cognome proveniente da Bagheria che aprì sul luogo una cantina di vini ed in seguito acquistò diverse case.

C’erano altri modi per combattere il caldo. Uno di questi era rifugiarsi nelle camere dello scirocco. Anche questa era una prerogativa dei ricchi.

Fino agli anni Sessanta o Settanta quando a Palermo cerano i chioschetti (a tavula ri l'acqua), quando un avventore acquistava un bicchiere d'acqua con il Zammù (anice), la sorseggiava o beveva con avidità, alla fine alzando gli occhi al cielo o al vicino di turno diceva: "M'arricriavu!" ("mi sento ricreato, rinato": sensazione di benessere)

Acquistare la neve era una prerogativa dei ricchi. Al popolo che viveva nei cortili e nelle vanelle del centro storico non rimaneva altro che pregare un Santo o il Buon Dio affinchè piovesse.
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