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Per tutti era "l'omu cani di Mazara": il mistero dell'esistenza del barbone colto

La figura di Tommaso Lipari accese la curiosità di gente comune e non solo, di lui si occuparono anche lo scrittore Leonardo Sciascia e il giudice Paolo Borsellino

Balarm
La redazione
  • 12 aprile 2021

Capita non di rado di individuare in precisi angoli di città o paesi persone che, ogni giorno, stanno lì aspettando chissà che e nel frattempo diventano figure quasi familiari.

Frutto di scelte di vita estreme queste persone spesso non posseggono nulla e sono quasi accudite, in merito a cibo e vestiario, dai passanti che, riconoscendo la loro mitezza, vi si affezionano.

Tommaso Lipari,"l'omu cani" (l'uomo cane) vissuto a Mazara del Vallo tra gli anni ’40 e gli anni ’70, più volte ricondotto alla figura dello scienziato Ettore Maiorana - scomparso misteriosamente all’età di 32 anni - è stato uno di questi per quanto non abbai mai accettato l'elemosina da nessuno.

Tommaso stava quieto, ogni giorno, ai piedi della statua di San Vito - dove venne trovato morto la mattina del 9 luglio 1973 - che si trova nel paese nella piazza della Repubblica e divide il seminario dal Palazzo Vescovile, andando a messa la domenica mattina.
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A lui venne dato questo appellativo, o meglio questa "inciuria" come si dice in Sicilia, per via dello stile di vita che conduceva, come un cane randagio, raccattando mozziconi di sigaretta e rimestando tra i rifiuti per mangiare qualcosa.

La figura di Tommaso Lipari accese la curiosità di gente comune e non solo, di lui a vario titolo si occuparono anche il giornalista e scrittore Leonardo Sciascia e il giudice Paolo Borsellino.

Tra leggende e testimonianze sono circolate tante informazioni che, però, non sono mai arrivate ad un punto definitivo.

Arrivò in paese nel 1940, senza far trapelare nulla sulla sua storia personale: da dove, e perché proprio li, nessuno riuscì mai a scoprirlo.

In occasione del censimento del 1951 dichiarò di chiamarsi così prendendo in prestito, a quanto pare, il nome di un muratore analfabeta nato a Tunisi il 14 aprile del 1900, che nel 1938 era scomparso da Moncalieri, dove viveva, senza lasciare tracce.

Secondo alcuni documenti dell'epoca, questo Tommaso Lipari da Tunisi aveva una moglie, Giuseppina Carolina Gambetta, casalinga di Bardonecchia, con la quale si era sposato nel 1929, ed una figlia, Germana, nata dai due prima del matrimonio.

La donna, però, dopo la morte non riconobbe il feretro quale suo marito.

Tornando alla sua strana e affascinante figura si diffuse la voce che avesse aiutato un padre del posto, dando consigli fruttuosi in merito alle difficoltà del figlio su materie quali matematica e fisica, riuscendo a risolvere la questione.

Da qui i sospetti che fosse il solitario scienziato siciliano si infittirono.

Anche Sciascia, come dicevamo, approfondì la sua storia non scrivendo però mai nulla in proposito alle sue convinzioni sul caso e smentendo, in alcune circostanze, anche persone alle quali aveva chiesto informazioni in merito a Tommaso Lipari.

Lipari era di certo un barbone insolito: attento, colto per quanto riportato da alcune persone che ebbero modo di confrontarsi con lui su temi specifici ma anche estremamente solitario, con la peculiare abitudine di gettare in mare le poche monete che i passanti gli mettevo a fianco.

In merito alle monete, poi, ci fu anche un espediente alquanto particolare che lo coinvolse. Agli inizi degli anni ’70 si registrò in Italia una stranissima penuria di monete da cinquanta e da cento lire.

Allora una banca, e di seguito anche tutte le altre, trovò la soluzione: l’emissione di “mini assegni” dal valore di cento lire, circolari e al portatore, che erano denaro a tutti gli effetti.

A Mazara anche il titolare dell’allora bar Pisciotta trovò una personale soluzione: coniò monete dal valore di cento lire con il logo del bar su una parte e l’immagine dell’uomo cane – eretto così ufficialmente a simbolo della città – sull’altra.

L’ex consigliere comunale Edoardo Romeo, convinto che l'uomo cane fosse lo scienziato Majorana, raccolse una serie di indizi che arrivarono, nell’estate dell’86, alla Procura della Repubblica di Marsala dove era Procuratore proprio Paolo Borsellino.

Fu aperta un'inchiesta che finì nel nulla, così come non ebbe seguito la successiva richiesta di Armando Romeo, fratello di Edoardo, di riesumare la salma di Tommaso Lipari per confrontarne il Dna con quello dei familiari di Majorana ancora in vita.

Il mistero resta ancora oggi aperto e chissà se un giorno avrà mai una soluzione.
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