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Non erano né streghe né fate: la vera identità delle 33 "Donas de fuera" in Sicilia

A Palermo, nella zona dell'Albergheria, c'è un cortile chiamato delle Sette Fate. Alcune storie raccontano che questo fosse il luogo di incontro delle Donas de fuera

  • 2 giugno 2020

"Oberon, Titania and Puck with fairies dancing" dipinto di William Blake

La Sicilia è terra di estremi, incongruenze e contraddizioni: bellezza e orrore, mari e monti, cultura e ignoranza. Un'isola talmente disomogenea in tutte le sue componenti che alla fine risulta in perfetto equilibrio sia nel paesaggio che nella cultura popolare che nei siciliani stessi.

Non ci stupisce allora che alcune figure mitiche (in questo caso di Palermo e Messina) incarnino senza soluzione di continuità bene e male, in particolare le donne.

Da tradizioni specificatamente siciliane, a tal proposito, scaturiscono storie che raccolgono in sé immagini stratificate di antiche culture. Né streghe né fate, secondo la credenza popolare le Donas de fuera (o in base alla provincia d'appartenenza: donni di fora, belli signuri, donni di locu, patruni di casa) sono capaci d'essere generose o spietate, governate come sono dai loro capricci uterini.

Secondo quanto tramandato, queste signore altro non sono che 33 potenti creature sotto le dipendenze di una "mamma Maggiore" - nota pure come "Savia Sibilla", "matrona", "maestra" e così via - ed escono unicamente di martedì, giovedì e sabato, rigorosamente la notte. Abbandonano i loro corpi e sotto forma di spirito (o anima che dir si voglia) s'intrufolano nelle case altrui attraverso le toppe delle serrature per castigare o premiare chi ha meritato il loro odio o il loro amore.
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Non fanno alcun rumore se non lievi scricchiolii e se scoperte dalla luce del giorno, eccole diventare rospi fino alla notte successiva (da qui l'usanza popolare di non uccidere o far del male a queste bestiole perché potrebbero appunto essere una donna di fora. Diverse le pene per chi abbia l'imprudenza di maltrattarlo).

Il gruppo, che si riunisce in consiglio tre volte a settimana nell’isola pontina di Ventotene, delibera di malocchi, fatture e legature da sciogliere o jettare, oltre che di amministrazione domestica. All'origine del mito c’è forse l'incredulità maschile dinanzi a una brava moglie. Una donna che sapeva essere allo stesso tempo compagna comprensiva ed esteticamente desiderabile, casalinga capace, madre affettuosa, "femmina" energica non poteva che essere un po' strega, o frutto d’un patto con il diavolo.

La donna di fora è anche fedele, e solo al marito confida la sua vera natura, pregandolo alla sera prima di addormentarsi di non toccarla o svegliarla per non intralciare le visite notturne previste in agenda. Alcune voci raccontano che, per avere in casa la visita della "bella Signora", si deve prima della mezzanotte ardere dell’incenso, foglie d'alloro e rosmarino e recitare la seguente formula: «Ti salutu re di lu Suli. Ti salutu re di la Luna. Ti salutu stidda ‘ndiana. Beni aspettu ‘ntra sìmana».

Amano la pulizia e la compostezza fino allo scrupolo; e condicio sine qua non per farla arrivare è che la casa nella quale è invitata sia perfettamente pulita e ordinata. L'antropologo Giuseppe Pitrè così le descrive: «[…] nelle case dove vanno vogliono trovare tutto in bell'ordine, ben rifatto il letto, bianche e odorose le lenzuola, sprimacciati i guanciali, splendido il rame della cucina, benissimo spazzate le stanze».

A Palermo, ad esempio, si racconta che tra le strade dell'antico mercato di Ballarò, sorge una torre, che secondo la leggenda popolare è il luogo dove la notte si riunivano sette donne, una più bella dell'altra.

Qui, secondo la tradizione, queste donne portavano con sé qualche uomo o qualche donna che a loro aggradava e facevano veder loro cose mai viste: balli, suoni, cose meravigliose per poi riaccompagnarli prima dell’alba nelle loro case. La piazzetta dove sorge la torre prende ancora oggi il nome di Cortile delle sette Fate, proprio in ricordo delle bellissime donne che abitavano il curtigghio di Palermo.
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