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Metti "u muluni a mare" solo se è maturo: l'arte del tocco nel rito (estivo) della bussata

L'anguria è simbolo di allegria e convivialità ma bisogna saper scegliere al momento dell'acquisto. I catanesi conoscono tutte le tecniche per non avere brutte sorprese

Livio Grasso
Archeologo
  • 29 giugno 2022

Dal gusto inconfondibile, l’anguria è uno dei frutti più amati e gettonati da parte dei catanesi durante il periodo estivo. Questa delizia della natura, per chi non lo sapesse, è originaria dell’Africa tropicale. Addirittura, secondo i geroglifici dell’Antico Egitto, il suo consumo si protrae da più di cinquemila anni.

Ricaviamo pure notizia che, sin dal passato, era indicata con denominazioni differenti: infatti, oltre al noto appellativo di anguria, è uso condiviso soprannominarla anche cocomero. Quest’ultimo termine, etimologicamente parlando, deriva dal latino citrullus vulgaris. L’epiteto anguria, invece, discende dal sostantivo greco "angurion" che, similmente alla variante latina, assume il medesimo significato di "cetriolo".

Inoltre, prestando fede alle fonti storiche, il cocomero incarna il simbolo dell’allegra convivialità. In più, una vecchia leggenda tramanda che per via della forma semi-sferica fu uno dei primi strumenti da gioco con cui gli dei erano soliti divertirsi.
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Rimanendo in tema mistico-religioso, suscita particolare curiosità notare come esso sia stato persino utilizzato come corredo funerario nelle tombe dei faraoni. Basti pensare che, simbolicamente, veniva lì deposto per garantire al defunto il sostentamento nell’aldilà.

Premesso ciò, adesso soffermiamoci sul legame che intercorre tra questo straordinario alimento e il capoluogo etneo. Proprio qui, come tutti sapranno già, si trovano interi e sterminati campi dedicati alla coltivazione del melone. Tanto per essere precisi, si tratta della cosiddetta zona della "Piana" e, al contempo, di buona parte del versante ramacchese.

Molti di voi, quasi certamente, avranno sentito parlare della famosissima tradizione del muluni a mare. Con tale espressione si intende alludere all’antica usanza di far raffreddare il melone direttamente in spiaggia.

Detta in soldoni, questa consuetudine consisteva nello scavare delle buche profonde sulla battigia. In pratica, l’anguria veniva sepolta sotto la sabbia fino all’altezza del "piripicchio" e tenuta lì per l’intera mattinata. Dunque, attraverso tale espediente, il frutto si rinfrescava sul posto venendo lambito dalle onde del mare. All’ora di pranzo, precisamente alla fine del pasto, arrivava il felice momento di tirarlo fuori e degustarne la gradevolissima freschezza.

Solitamente, per aumentarne la capacità dissetante, lo si assaporava con un po' di limone spremuto sulle varie fette. Spesso, però, capitava che il sapore non fosse quello che ci si aspettava. A tal riguardo, entra in gioco la rara capacità di saperne riconoscere il giusto grado di maturazione al momento dell’acquisto. In gergo locale, codesta "abilità selettiva" prende il nome di "Bussata".

Non a caso, quando ci si reca dal fruttivendolo o al supermercato, è prassi alquanto comune battere le nocche sullo strato esterno dell’anguria per carpirne lo "status" qualitativo. Tuttavia, per quanto si possa essere esperti nella così chiamata "arte del tocco", sovente ci si imbatte in spiacevoli "sorprese" che deludono profondamente le aspettative dei consumatori.

Un altro metodo, molto utilizzato, per riconoscerne la qualità è l’osservazione del già citato piripicchio, quando appare di colore verde, nella maggior parte dei casi significa che il melone è ancora acerbo e poco dolce.

Se, al contrario, manifesta un "colorito" marroncino ci sono ottime probabilità che sia maturato al punto giusto. Ad ogni modo, una cosa è assolutamente certa: nella città “do Liotru” non può esistere estate senza l’avvolgente e sublime gustosità dell’anguria.
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