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Yimou torna a danze e combattimenti, ma non convince del tutto

  • 8 febbraio 2005

La foresta dei pugnali volanti
Cina 2004
di Zhang Yimou
con Zhang Ziyi, Takeshi Kaneshiro, Andy Lau

Il wuxiapian (il “cappa e spada” cinese, in bilico tra lo storico e il fantastico) è stato ormai abbondantemente sdoganato anche in Occidente, Italia compresa, conquistandosi un sempre più alto numero di estimatori e soprattutto d’incassi. Non stupisce quindi che esca nei nostri cinema questo “La foresta dei pugnali volanti” senza il colossale ritardo che ha accompagnato il suo predecessore “Hero”. Questa è infatti la seconda incursione di Zhang Yimou in uno dei generi che più hanno segnato la cinematografia di Hong Kong. E, viene da dire, il problema principale è proprio questo. Yimou aveva già stravolto i canoni del wuxia con “Hero”, portando all’estremo una poetica fondata sulla netta prevalenza della forma rispetto al contenuto, e davvero non c’era più nient’altro d’aggiungere. Anzi, “La foresta dei pugnali volanti” rappresenta un passo indietro nei confronti di una linea estetica di pura stilizzazione visiva. In primo luogo perché Zhao Xiaoding sostituisce alla fotografia Christopher Doyle e il suo pur abile lavoro non può essere minimamente paragonato alle fantasticherie cromatiche del maestro australiano (ad eccezione forse della visionaria conclusione sull’altopiano innevato). In secondo luogo perché qui Yimou vuole dare maggior forza all’aspetto narrativo a scapito della purezza formale, e quindi si concentra di più sulla trama.

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Nel fare ciò, tuttavia, trae spunti non tanto dal wuxia, quanto soprattutto dal melodramma, materia che sicuramente sa maneggiare meglio. Il risultato è però qualcosa di molto convenzionale: lo sfondo storico (la lotta tra l’esercito imperiale e la setta segreta “dei pugnali volanti”) è solo un pretesto per mettere in scena il più classico dei triangoli amorosi, con tanto di sanguinoso regolamento dei conti finale. Anche il personaggio del guerriero cieco è ampiamente risaputo e codificato nell’immaginario asiatico (basta pensare a Zatoichi). Siamo ben lontani dalla consistenza dell’intreccio e dalla passionalità dei personaggi de “La tigre e il dragone” (tanto per citare un altro illustre esponente del filone). Peccato, perché il tema della danza, solo accennato all’inizio e poi abbandonato del tutto, avrebbe potuto essere sfruttato meglio (avendo tra l’altro a disposizione la leggiadria di Zhang Ziyi) per evidenziare maggiormente una corrispondenza tra l’arte coreografica e quella del combattimento. Ciononostante i motivi per apprezzare “La foresta dei pugnali volanti” non mancano. Ci sono le impressionanti coreografie di Ching Siu-tung, che regalano alcune scene memorabili (il combattimento nella foresta di bambù) e compensano l’utilizzo a volte eccessivo della computer graphic. E poi, soprattutto, ci sono gli interpreti (in particolare la sensualissima Zhang Ziyi e l’intenso Takeshi Kaneshiro) che offrono ottime prove recitative, non soltanto nella lotta.

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