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“Flightplan”, il terrore viaggia a 40 mila piedi

  • 14 novembre 2005

Flightplan - Mistero in volo
U.S.A., 2005
Di Robert Schwentke
Con Jodie Foster, Kate Beahan, Sean Bean, Peter Sarsgaard, Marlene Lawston

L’aereo, si sa, sin dai tempi di “Airport” e “Terrore a 12 mila metri”, fino ad “Air Force One”, è un oggetto ansiogeno, capace di catalizzare paure e angosce dello spettatore-viaggiatore. Dopo l’undici settembre, poi, ha finito per diventare uno dei simboli più emblematici dell’aggressione terrorista. Non a caso i “thriller aerei” si sono moltiplicati nell’ultimo periodo e attualmente ne circolano ben due in sala: “Red eye” e “Flightplan”, con trame che presentano molti punti di contatto. Quest’ultimo è quasi interamente ambientato su di un Jumbo E-474, vero e proprio gigante dei cieli in grado di ospitare più di cinquecento persone e dotato d’ogni confort. L’ingegnere aerospaziale Kyle Pratt (Jodie Foster), che ne ha progettato i motori, si trova (per coincidenza?) a bordo del mastodonte, imbarcatasi con la figlia da Berlino per tornare a New York. Con lei viaggia anche la salma del marito, precipitato da un edificio in circostanze poco chiare. Immaginate come deve sentirsi Kyle, già inquieta per il recente lutto, quando, dopo alcune ore di tragitto, si accorge improvvisamente che accanto a lei non c’è più la figlioletta. Il personale setaccia il velivolo per ogni dove, ma non c’è traccia della piccola. Quel che è peggio è che nessuno dei passeggeri ricorda d’averla vista salire a bordo e non si trova neppure la sua carta d’imbarco.

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Il comandante Ridi (Sean Bean) comincia a pensare che Kyle soffra di turbe psichiche e l’affida al controllo dell’addetto alla Sicurezza (Peter Sarsgaard) perché non metta a rischio la trasvolata. Ma qualcosa continua a non quadrare… La volontà di ritrarre le insicurezze del popolo americano, timoroso di subire nuovi attacchi kamikaze e diffidente verso tutto ciò che è “diverso”, esce allo scoperto nella sequenza in cui la madre si scaglia contro un uomo d’origine araba, ottenendo solidarietà dal resto dei passeggeri. “Flightplan” è dunque un thriller “derivativo”, che ricava spunti in parte dal ricco filone aeronautico che ha alle spalle, in parte da quei film claustrofobici, in cui bisogna difendersi da una minaccia confinata in uno spazio angusto (come avviene anche nella precedente fatica di Jodie Foster, “The Panic Room”) e in parte dall’attualità. Ma la regia del tedesco Robert Schwentke (qui al suo terzo film e all’esordio in America), pur tentando con inquadrature e prospettive ardite di sfruttare al massimo gli impressionanti interni del Jumbo (ricostruiti in studio per l’occasione), non riesce a conferire all’insieme una visione originale né a rivitalizzare tutto questo materiale. Non lo aiuta il soggetto, che nella prima parte coinvolge – a patto di non cercare spiegazioni in un intreccio troppo arzigogolato per risultare veramente credibile – ma si perde in un finale stanco e annacquato. L’intero film si regge quasi esclusivamente sull’interpretazione della sempre brava Jodie Foster, che non guasterebbe vedere più spesso in produzioni impegnate.

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