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Le donne del Vespro tra storia e leggenda: il volto femminile della rivolta popolare del 1282

Non tutti sanno che la sollevazione contro gli angioini ebbe inizio proprio per una donna, sul sagrato della chiesa di Santo Spirito a Palermo, all’ora del Vespro

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 19 marzo 2022

Una rappresentazione dei Vespri Siciliani

I Vespri siciliani, la violenta ribellione armata esplosa a Palermo nel 1282 contro gli oppressori Angioini e dilagata presto in tutta l'isola è stata celebrata soprattutto in epoca risorgimentale (da Michele Amari a Giuseppe Verdi ad esempio) quale fulgido esempio di patriottismo.

Tutto ebbe inizio proprio per una donna, sul sagrato della chiesa di Santo Spirito a Palermo, all’ora del Vespro. I francesi avevano proibito ai siciliani di essere armati e quel giorno di fine Marzo, secondo una nota ricostruzione storica, Drouet, un soldato francese, con la scusa di perquisire una giovane donna di nome Bianca e il marito per scoprire se nascondessero delle armi, “frugò nelle vesti al marito e poscia stracciò i candidi lini che copriano il seno a Bianca e vi insinuò la mano: si opposero i parenti ma la violenza trionfò e la mano giunse sulle morbide mammelle! Ella cadde svenuta.” (V.Broglio, 1858)

Il fratello di Bianca riuscì a estrarre la spada dalla guaina del soldato francese e ad ucciderlo. I palermitani che covavano un profondo rancore nei confronti degli angioini si gettarono sugli altri soldati presenti gridando: “Muoiano i francesi! Vendichiam le nostre spose!”. Tale gesto costituì la scintilla che dette inizio a una violenta e sanguinosa ribellione, resa cieca dall’odio.
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Nelle storie popolari si afferma che la donna oltraggiata non sarebbe stata Bianca, figlia di Ruggero Mastrangelo ma Imelda, figlia di Giovanni da Procida, istruita a questo scopo, per organizzare la provocazione e dare l’avvio alla rivolta già organizzata dal padre. (B.Ciccardini, 2009.) Sia il Mastrangelo che Giovanni da Procida furono tra i principali protagonisti dei Vespri Siciliani.

Nel corso della serata e della notte che seguì la strage di numerosi soldati sul sagrato della chiesa di Santo Spirito, i palermitani si abbandonarono ad una vera e propria caccia ai francesi, alle loro mogli e ai loro figli: fu una carneficina che non risparmiò nessuno...neppure i bimbi strappati dal ventre delle madri o i religiosi, nelle chiese e nei monasteri profanati…

Si dice che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano cercando di fuggire, facessero ricorso a uno tranello mostrando loro dei ceci: chi non riusciva a pronunciare correttamente la parola ciciri ("ceci") ma diceva “scisciri” veniva ucciso.

L'insurrezione coinvolse rapidamente tutta la Sicilia. A Catania era al governo la sensuale e spregiudicata Macalda di Scaletta, seconda moglie dello stratigoto Alaimo da Lentini che si trovava a governare Messina. Macalda cinica, amorale, spietata fu una protagonista di primo piano nella rivolta dei Vespri durante la quale tentò di mettere in cattiva luce la regina Costanza per sedurne il marito, il re Pietro D’Aragona.

Il sovrano rimase impressionato quando vide cavalcare Macalda, con indosso l’armatura di maglia, armata di Lancia, pronta a combattere… ma i pensieri di Pietro erano tutti rivolti alla guerra e non si lasciò coinvolgere nei tentativi di seduzione della dama.

La condotta perfida e disinibita di Macalda, pronta a contraccambiare favori col sesso per ottenere i suoi obiettivi è il contrario dell’immagine leggendaria pudica e riservata di Gammazita, eroina catenese. Secondo la tradizione di Gammazita, bellissima fanciulla, di grande virtù, si era invaghito un soldato francese, le cui proposte indecenti furono però disprezzate dalla fanciulla, che era già promessa in sposa a un bravo giovane e che preferì gettarsi in un vicino pozzo piuttosto che cedere al disonore.

Un’altra versione della leggenda racconta che Macalda si era innamorata del suo giovane paggio Giordano, ma il cuore del ragazzo apparteneva già a Gammazita. L'amore dei due giovani rese folle di gelosia la perfida Macalda, che chiese al francese de Saint Victor di sedurre Gammazita, per svilirla agli occhi di Giordano. De Saint Victor cercò di possedere la fanciulla che non vedendo altra via di scampo, per difendere il suo onore preferì gettarsi in un pozzo. Giordano, appresa la notizia, si vendicò uccidendo il francese. La storia di Gammazita viene sempre citata dai catanesi più anziani come esempio del patriottismo delle donne catanesi.

A Messina intanto il marito di Macalda, il vecchio Alaimo, nominato Capitano del Popolo, organizzava una difesa popolare della città, assediata per mare da Carlo d'Angiò. Della resistenza furono protagoniste secondo una leggenda anche due donne: Dina e Clarenza.

Nel tentativo di occupazione i francesi non risparmiavano nessun civile, né anziani, né donne e né bambini. Durante la notte dell'8 agosto le truppe di Carlo tentarono di invadere la città dai colli e le due donne messinesi, che erano di vedetta sulle mura, accortesi dell’arrivo dei nemici si prodigarono per difendere Messina: Dina scagliando sassi di continuo sui soldati nemici e Clarenza suonando a distesa le campane del Duomo per svegliare la popolazione. Soldati e civili accorsero in massa e riuscirono a respingere l'attacco.

Dina e Clarenza sono diventate uno dei simboli della città dello Stretto e sono rappresentate nell’orologio astronomico del campanile del Duomo cittadino.

Solo uno sparuto gruppo di francesi riuscì a salvarsi dall’eccidio, trovando riparo a Sperlinga (oggi in provincia di Enna) e successivamente riuscendo ad arrivare in Calabria. Michele Amari riuscì a trovare dei documenti che confermano come solamente a Sperlinga un gruppo di soldati angioini riuscì a resistere per lungo tempo, aiutato dalla popolazione. Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit (Ciò che i siciliani vollero solo Sperlinga negò) è l’espressione latina che si legge su un portale del castello rupestre di Sperlinga, incisa nel XVII secolo dal proprietario, il principe Giovanni Natoli.

Anche in questo caso le donne diedero il loro fondamentale contributo: per dimostrare a coloro che assediavano il castello che tra le mura del maniero vi erano solo pecore e pastori, i francesi lanciarono dalle feritoie delle forme di cacio fatto con il latte materno delle loro donne (M. Collura 1984).
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