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La Settimana Santa in una Palermo del 1968: liturgie e tradizioni (dimenticate) di Pasqua

Nella miniera dei ricordi si scovano gemme preziose di un tempo lontano, spesso legato all'infanzia. E se questa è stata vissuta in Sicilia, diventa faticoso evitare la nostalgia

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 1 aprile 2021

La processione di Pasqua a Palermo

Tanti anni trascorsi a considerar la Pasqua come un anticipo di ferie, consumazione di grandi pranzi tra parenti e amici, viaggi verso località lontane, e ancora una volta ci ritroviamo in un nuovo isolamento; se lo scorso anno eravamo sbigottiti, quest'anno siamo arrabbiati e depressi.

Così facciamo ricorso alla miniera dei ricordi, scovando gemme preziose di un tempo lontano, il più delle volte legato all'infanzia. Se poi questa è stata vissuta in Sicilia, diventa ancora più faticoso evitare una profonda nostalgia.

Il mio ricordo è la “Settimana Santa” in una Palermo del 1968, dove arrivai a otto anni.

I miei genitori credenti, ma sicuramente non praticanti, sbarcati da poco in città, vollero immediatamente immergersi nei "riti cittadini" portando me e mia sorella. Se per loro fu curiosità, per noi bambine, fu il contatto con una spiritualità fatta di magia e mistero.

Iniziammo con Il Giovedì Santo, nel pomeriggio, con la visita ai Sepolcri. I "Lavureddi" richiedevano una lunga preparazione che poteva durare anche un mese, la chiesa Santa Caterina, allestiva uno dei più belli grazie al lavoro delle suore di clausura del monastero di cui la chiesa era di pertinenza.
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I Sepolcri erano dei piccoli "pratini", allestiti presso gli altari, abbelliti da fiori, nastri, lampade, ornamenti che richiamavano la passione. La realizzazione di questi tappeti erbosi, nei quartieri popolari, era affidata ai bambini.

Le mamme preparavano dei piattini con del cotone idrofilo bagnato, nei quali i piccoli mettevano dei semi di grano o lenticchie, questi poi erano chiusi al buio in un armadio. Trascorsi 40 giorni i semini germogliavano riempiendo il piattino di filini verdi tutti della stessa altezza che venivano portati in chiesa.

L'origine di far germogliare dei semi, possiamo ritrovarla nei riti propiziatori della primavera, associati alla morte e rinascita. Un processo dove un Dio fertilizzava la terra con il suo sangue, come l'egiziano Osiride dal cui sangue nasceva la prima spiga di grano, Attis da cui nascevano le violette, il babilonese Tammuz con l'albero di Palma, il greco Dioniso con la nascita della vite, o il frigio Adone dal cui sangue nascevano gli anemoni.

La tradizione come abbiamo visto è la stessa, arrivata fino a noi, con il Cristo che versa il suo sangue assicurando agli uomini la rinascita dall'oscurità del peccato e la vittoria della vita sulla morte. Visitare i Sepolcri era un atto dovuto e prescriveva il "giro di sette chiese".

Quell'anno con mia mamma e mio papà le andammo a visitare tutte e sette. La fatica fu ripagata, ogni chiesa ci sembrò più bella delle altre, ogni Sepolcro o "giardino di Adone" più bello e originale di quello precedente. Rapiti dalla bellezza della città e delle sue chiese, il giorno dopo, il Venerdì Santo all'imbrunire, assistemmo a una incredibile processione.

Palermo, e le altre grandi o piccole città siciliane hanno una lunga tradizione sul venerdì di passione (ogni chiesa ha una sua confraternita, con una statua da portare in giro). Io ricordo a Palermo quella dell'incontro la Madonna Addolorata e il Cristo morto.

Maria su un baldacchino, era portata tra le vie del quartiere. La processione con il Cristo in una bara di vetro proveniva da un’altra zona. I due s'incontravano in piazza, qui la Madonna veniva spinta in direzione del figlio, riuscendo ad affiancarsi solo dopo tre tentativi. Io ero affascinata dalla statua della Madonna, abbigliata come una regina, aveva un viso con una sofferenza senza consolazione.

Ricordo che prima dell'incontro con il Cristo, gli uomini si affollavano sotto il baldacchino della Madonna porgendo a un uomo abbarbicato all'altezza della statua, un fazzoletto con cui andare ad asciugare delle ipotetiche lacrime. Ogni fazzoletto dopo essere stato dolcemente strofinato sul viso, veniva restituito al proprietario, che dopo averlo baciato, lo conservava nel taschino come una sacra reliquia.

A distanza di mezzo secolo la stessa Madonna l'ho ritrovata nelle statue barocche a Siviglia, soprattutto nella Madonna della Macarena, una statua piena di gioielli, dono dei toreri dopo la corrida. Sul viso ha delle lacrime che risplendono, sono dei brillanti, con uno sguardo che mostra fierezza anche nel dolore.

Ammirare alcune statue siciliane è come guardare quelle spagnole, è una questione di "cristallizzazioni" lasciate dalla dominzione.

Ripensando a quei momenti ricordo che mio padre prese il suo fazzoletto e facendosi largo tra la folla volle anche lui custodire quelle lacrime. A distanza di anni gli chiesi perché l'avesse fatto, mi rispose sottoponendomi alcune righe di Sciascia: "Ma è davvero il dramma del figlio di Dio fatto uomo che rivive nei paesi siciliani? O non è invece il dramma dell'uomo semplicemente uomo... O in definitiva è soltanto il dramma dell'Addolorata... terreno carnale . Non è il dramma dunque del divino sacrificio, e dell'umana redenzione, ma quello del male di vivere , dell'oscuro , viscerale sgomento di fronte alla morte, del chiuso e perenne lutto dei viventi."

Il periodo di espiazione e contrizione terminava nella notte del sabato con la "Calata di la tila" alla chiesa di San Domenico . A mezzanotte veniva fatto cadere un drappo che copriva l'altare tra esplosioni di canti e di gioia. Questi riti sono rimasti scolpiti nei miei ricordi, resi ancora più vivi, in un momento dove ancora non si vede la luce, dove la lontananza forzata da luoghi e persone, diventa difficile. La rinascita però è vicina, "passeremo oltre…", tutti.
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