STORIA E TRADIZIONI

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La Real Maestranza, l'Abballu dei diavoli, le Lamentanze: in Sicilia è tempo di Pasqua

La chiesa nel Medio Evo incoraggiò e vide di buon occhio l'appropriarsi di antichi culti permeandoli in chiave cristiana e che trovarono la massima espressione in Spagna, per arrivare poi in Sicilia

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 12 aprile 2022

Il tempo ha bisogno di essere addomesticato attraverso la calendarizzazione, una ricapitolazione tipica della cultura occidentale che trova “puntelli nella memoria collettiva”, ciò che chiamiamo più semplicemente Tradizione. Le festività religiose si collocano tra storia e mito, dove la prima è lo scorrere del tempo, il secondo è ritualità che parla di Sacro e Divino. È un esercizio che non analizza solo il passato, ma anche il futuro, perché senza tradizioni non si va da nessuna parte, si perde prospettiva e percezione “è un correre… e non un accorrere verso qualcosa”.

La Pasqua, se nel Cristianesimo delle origini era liturgia che rievocava il momento più importante della religione, è nel medioevo che diventa festa e tradizione con riti, che Mircea Eliade chiama “atti indispensabili” che si ricollegano a un mondo preistorico dettato dalla “mistica agraria”.
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Il Periodo Pasquale legato al risveglio della natura, plasma e rimodella “atti ancestrali” che offrivano ringraziamenti per il ritorno dei prodotti della terra, la nascita degli animali tra cui gli agnelli, l’utilizzo delle uova, che il popolo di raccoglitori –cacciatori trovava nei nidi, ritorno di risorse alimentari impensabili durante il freddo inverno.

È il Resurrexit dell’uomo, che nel Cristianesimo, affida a Gesù la vittoria sulla natura e sulla scandalosa morte. Rito di passaggio: la Pasqua diventa festa popolare che si porta dietro tutti questi “ricordi”, dalla consumazione degli agnelli anche in forma di dolci, alle uova, simbolo comune in tutto il mondo, alla colomba, fino al particolare abbellimento dei Sepolcri con teneri virgulti verdi fatti germogliare in piccoli contenitori. Sono gli antichi “giardini di Adone”, dio siriano-babilonese che muore e rinasce, allegoria del risveglio della natura e per il quale erano realizzati, attraverso la semina di lenticchie farro e miglio, piccoli giardinetti in dei contenitori. Come avviene ancora oggi.

Se per la tradizione giudaica la Pasqua celebrava la liberazione degli Ebrei attraverso il Mar Rosso dalla schiavitù Egizia, anche in questo rito di passaggio, si conservano atti non troppo dissimili dagli antichi culti. La chiesa nel Medio Evo incoraggiò e vide di buon occhio l’appropriarsi di questi riti permeandoli in chiave cristiana e che trovarono la massima espressione in Spagna, per arrivare poi in Sicilia.

Le feste di Zamora in Castiglia, Leon e Siviglia e Malaga, raccontano di processioni diurne rumorose e notturne silenziose, con Confraternite che risalgano agli inizi del XVI secolo, dove gli uomini indossano il “Capirote”, un copricapo a punta, portando per le strade immagini o statue sacre di cera o legno, che all’incontro con la Madonna s’inchinano per renderle onore, tra gli applausi dei devoti.

La Madre affranta per l’occasione veste preziosi abiti del lutto come la Macarena di Siviglia, che smette i preziosi gioielli donati dai toreri, per coprirsi con abiti e veli neri.

Tutto questo ricorda in maniera impressionante le processioni delle Confraternite Siciliane, che portano lunghe le strade “I Misteri” statue che rievocano la Passione di Cristo. Una tra le più antiche quella di Barette a Messina, che risale al 1610, dove ben 11 simulacri, sfilavano per le strade. Le varie rievocazioni della via Crucis avevano nella città di Enna 300 incappucciati “I Penitenti”.

A Petralia Sottana oltre agli uomini sfilano le Pie Donne, con Giudei armati e bambini vestiti da Angioletti. Anche nell’Isola la Madonna si cambia d’abito, La “Vestizione dell’Addolorata” può prevedere un abito di velluto nero, una cuffia in merletto e l’immancabile fazzoletto bianco per asciugare le lacrime. I Giudei che percorrono le strade, comuni nel Sud della Spagna, li ritroviamo anche a San Fratello, vestiti con “ giubba e calzoni rossi” abiti che risalgono al Medio Evo.

A Piana degli Albanesi, la ”Pashket” si rifà al rito greco - bizantino. Il venerdì prima della Domenica delle Palme si celebra la Resurrezione di Lazzaro, una settimana dopo, lo stesso giorno percorrono le strade, i carri funebri accompagnati da antichi strumenti musicali. Nella domenica di Pasqua si svolge il corteo delle donne vestite con i tipici abiti del '400.

Gli incontri tra l’Addolorata e il Cristo, in tutte le processioni, diventano un rincorrersi e trovarsi tra madre e figlio. A Modica culmina con la “Vasa-Vasa” il bacio di mezzogiorno tra la Madonna e il Cristo Risorto ritrovato. Madonna che percorre le strade di Scicli come l’Addolorata di Santa Maria la Nova.

Caltanissetta, rivive la sua storia cittadina, con la “Real Maestranza”, dove il personaggio principale è il Capitano accompagnato da uno Scudiero, un Alfiere, Portabandiera e Alabardieri. Sacro e profano si mescolano a Prizzi, con ”l’Abballu dei diavoli”. La mattina di Pasqua si ode un frastuono di catene, sono i diavoli mascherati e vestiti di rosso che con la loro danza, insieme alla Morte, tentano d’impedire l’incontro tra la Madonna e il Risorto.

Ogni rito è accompagnato da canti invocazioni e lamenti, ciò che Tullio De Mauro chiama “Vocabolario della Temporalità”, che in Sicilia diventa le “Lamentanze”. Non più canti gregoriani ma cori polifonici che cantano il dolore della Passione in Siciliano, famoso il coro di Bisacquino che si esibisce in vari paesi siciliani, richiamando in chi ascolta un’intensa carica emotiva.

La Pasqua, con i suoi riti e tradizioni, è l’unica festa che varia di anno in anno, riallacciandosi a una concezione ciclica del tempo, diventando in Sicilia ciò che Sciascia chiama “un’esplosione esistenziale, in cui il Siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo”, condividendo con altri “uomini soli”,un tempo sospeso che parla di vittoria ed eternità.
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