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La nascita di Palermo scritta sulla torre (che non c'è più): il mistero della Torre di Baych

Si trovava sul mare, dove oggi c'è l'incrocio tra via Roma e il Cassaro: diversi storici ne hanno studiato le misteriose iscrizioni che raccontano la nascita di Palermo

  • 4 febbraio 2019

Palermo durante i Fenici (la parte colorata)

Questa antichissima torre, edificata a difesa della città, si trovava all’estremità sud di Palermo, (dove oggi si trova la chiesa di Sant’Antonio Abate, in via Roma) e si estendeva sino al Cassaro (via Vittorio Emanuele): "a piè di cui veniva ad infrangersi il mare che dividendosi dall’una e dall’altra parte veniva a formare due porti".

Nonostante la sua importanza strategica e la grande mole, fu per alcuni secoli oggetto di studi per un fatto curioso.

Sul frontespizio della torre, a detta di alcuni storici, un’epigrafe in lettere Caldee (i Caldei erano un popolo semita) intagliate sulla pietra, spiegava che era stata innalzata sin dalla fondazione della città di Palermo dai discendenti di Abramo.

Furono gli ebrei che abitavano in città che lo affermarono. Tutto iniziò da uno scritto dello storico domenicano palermitano Pietro Ranzano (Palermo 1426 o 1427 - Lucera 1492 o 1493).

Egli scrisse che era opinione degli storici precedenti che la torre esistesse già al tempo dei Fenici e degli altri popoli che abitavano la città di Palermo.
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Negli anni in cui il Ranzano visse, la torre era posta sopra la Porta de’ Patitelli e nella parte superiore campeggiava ancora la scritta.

Nel 1469, Pietro Ranzano interpellò un ebreo di nome Isacco Guglielmo, abitante a Palermo ma proveniente da Pisa. Questi, dapprima tradusse a proprio piacimento la scritta:

"Non vi è altro Dio, che un Dio: non vi è altro potente, eccetto che / il medesimo Dio, che noi adoriamo.
Il capitano di questa Torre è Sefo, figliolo di Elisar, figlio di Esaù, fratello di Giacob, figliolo d’Isaac, figliolo di Abramo; ed il nome della Torre è Baych, e di quello della Torre vicina è Ferat".

Subito dopo lo condusse presso la sua abitazione facendogli visionare un vecchio Codice ebraico che conteneva quanto accennato.

Dopo averlo visionato, il Ranzano si convinse che la tesi fosse veritiera. Credette di avere fatto una scoperta sensazionale: la nascita di Palermo.

Naturalmente non era vero, era stato vittima di un inganno. Fu lo storico Pietro Speciale che mosse le prime critiche non credendo a quanto affermato prima.

Egli scoprì che dopo l’anno Mille era prevalsa la tradizione di manipolare alcune cabale ebree. A tal proposito aveva trovato una Cronica manoscritta in lingua siciliana che terminava nell’anno 1359, in cui era scritto:

"Or nell’anno 1071, volendo il Conte Ruggeri (Ruggero) edificare la prima torre aveva trovato una pietra (targa) in cui era scritto un verso scritto da un certo Jacob (Giacobbe), aveva anni cinquemilasessanta e persino il giorno era citato".

Il Conte Ruggero la fece apporre nella torre aggiungendo alla scritta originale il carattere caldeo ed ebreo. Anche lo storico Tommaso Fazello (Sciacca 1498-Palermo 8 Aprile 1570) non credette a questa impostura.

Egli, visitando la torre nell’anno 1534, sottolineò che il muro occidentale, che dava sulla via Marmorea (via Vittorio Emanuele), che la scritta c’era ancora ma era illeggibile, tuttavia raccolse un frammento e lo fece incidere su una tavola di legno.

E non era stato il solo ad avere questa idea perché nel manoscritto dello storico Martines Marco Antonio, "De situ Sicilia et insularum adiacentium libri tres" pubblicato nel 1578, furono riportati diversi frammenti della scritta.

Anche il Martines, Mario Arezzo, Leandro Alberti, Gerardo Mercatore, Giacomo Braun ed altri) seguirono ciecamente questa opinione.

Questo manoscritto, insieme al frammento del Fazello, fu citato dallo storico Gabriele Lancillotto Castelli, (o Lancellotto Castelli), principe di Torremuzza (Palermo 1727-Palermo 1794), nel 1762 pubblicò "Le iscrizioni di Palermo", in cui descrisse le lapidi antiche che dal 1586 il Senato di Palermo aveva fatto raccogliere e che nel 1716 erano state collocate nel Palazzo Pubblico.

Il primo storico che cercò di tradurre quei frammenti fu Mariano Valguarnera (Palermo 7 Ottobre 1564 – Palermo 28 Agosto 1634).

Anche se non era convinto della tesi precedente, come scrisse nel suo "Discorso dell'origine ed antichità di Palermo e dei primi abitatori della Sicilia", pubblicato nel 1614, alla fine anche lui si associò a questa tesi.

Raccontò di aver sentito dalle persone anziane che avevano assistito alla demolizione della Torre, che i palermitani piangevano sulle pietre di Abramo.

Il geografo tedesco Filippo Cluverio (Danzica 1580 – Leida 31 Dicembre 1622), venuto in Sicilia per descriverla, noto conoscitore delle lingue orientali, poco potè per interpretare quella scritta, tuttavia si discostò da quella tesi e fu critico nei confronti degli storici che la avevano avallato.

Il canonico Domenico Schiavo (1718-1773), riabilitò gli storici che avevano creduto alla spiegazione originaria, addirittura scrisse che la denominazione Panormus (tutto porto) derivasse dal termine caldeo ed ebreo Panhormis e non dalla lingua greca: significa diversiculum oppure diversorium Syrorum (diversa - Syrorum) o dal termine ebreo o caldeo Panormon, cioè aspectus fortitudinis (aspetto di una fortezza).

Dopo l’impostura dell’abate Giuseppe Vella (Il Consiglio di Sicilia, ultimato e stampato nel 1789), gli studiosi siciliani approfondirono lo studio di alcune lingue asiatiche antiche.

Il canonico Rosario Gregorio, che aveva già scoperto l’impostura dell’abate Vella che nella sua opera "Rerum Arabicum quae ad historium siculam spectant ampla collectio", denunciò che la scritta della Torre di Baych e l’interpretazione originaria fosse un’impostura ebrea.

A ciò allegò le interpretazioni dei due massimi esperti di lingue orientali: il professore Assemanni ed il professore Olao Gerardo Tychsen.

Si scoprì che Torre di Baych era stata costruita dai saraceni ed anche l’iscrizione incisa era saracena.

La torre, inoltre, aveva un’altra scritta con caratteri somiglianti che si snodava lungo le fondamenta. Quest’ultima scritta, ancora leggibile, probabilmente era quella che i palermitani osservarono durante la demolizione della Torre. Dopo che fu risolto il mistero della scritta, nacque un’altra disputa sul toponimo Baych.

Il Valguarnera asserì si chiamasse "Bayth" termine che indicava "casa, palazzo del capo della Città" e che il termine Baych fu scritto erroneamente dal Ranzano.

La Torre di Baych fu smantellata nel 1567 per ordine del vicerè Don Garcia da Toledo perché impediva l’allungamento del Cassaro via Vittorio Emanuele).

Il filosofo francese Voltaire (Parigi 21 Novembre 1694 - Parigi 30 Maggio 1778) scrisse: ama la verità, ma perdona l'errore.
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