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Santuari e borghi abbandonati (a due passi da Palermo): un tour in bicicletta da provare

Partendo dal centro di Palermo ci si può immergere in uno scenario da favola adatto a chi ama andare in bicicletta: le informazioni utili per un percorso da provare

  • 8 giugno 2020

Aurelio Cibien in bicicletta

Ci sono strade faticose, strade in salita, strade in discesa, strade non più strade, che prese singolarmente non hanno nessun valore, ma che inserite, una dietro l’altro, in un percorso tra montagne, campi color oro, borghi rurali e santuari costruiti nel “nulla” della campagna siciliana diventano un viaggio nella storia e nel territorio che pochi conoscono.

Utilizzeremo strade secondarie, provinciali poco trafficate e paesaggi mozzafiato. Troveremo silenzio, interrotto solo dal vento e dal canto degli uccelli, troveremo una piacevole solitudine che non è altro che un distacco dalla nostra vita frenetica e zeppa d’informazioni spesso inutili.

Questa è una pedalata per persone allenate, perché i suoi quasi 110 km possono mettere a dura prova la nostra resistenza ma di contro darà molte soddisfazioni al suo termine. Ricordiamoci di portare con noi una buona scorta d’acqua, durante il percorso troveremo diverse fontane o abbeveratoi per gli animali, realizzate durante le riforme agrarie del periodo fascista e degli anni '50/'60 ma tutte non più in uso. In questa pedalata attraverseremo anche alcuni paesi, dove poter fare scorta d’acqua o prendere un caffè.
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Questo è un percorso che può essere fatto quasi tutto l’anno, ma i periodi migliori sono sicuramente la primavera e l’inizio estate, prima che la stagione diventi troppo calda. In questo periodo i colori vanno dal verde accesso delle prime piantine di grano che iniziano a nascere dal terreno, all’oro del grano maturo ondeggiante al vento e pronto per la raccolta. Non è difficile incontrare, tra queste campagne, anche qualche gheppio o poiana in caccia di qualche coniglio o lepre o altra preda.

Il nostro percorso comincia da Corso Calatafimi a Palermo (da qui potete scaricare la traccia GPS) in salita in direzione di Monreale e del suo meraviglioso duomo. Per arrivare alla prima discesa dobbiamo pedalare per 20 chilometri e arrivare a Portella della Paglia il punto più alto del nostro percorso (790 m s.l.m.), ma non prima di aver attraversato Monreale e le sue frazioni di Pioppo e Giacalone. A Giacalone troviamo una fontana, dove poter riempire le borracce, prima di giungere a Portella della Paglia.

Terminata questa lunga salita arriva la meritata discesa che ci porta fino alle porte di San Giuseppe Jato e San Cipirello, due borghi rurali con una particolarità, non si capisce dove termina un paese e inizia l’altro. Fate attenzione durante la discesa, perché molto tecnica e con molte curve, ma anche immersa in un bosco di pini marittimi che rendono l’aria, soprattutto la mattina presto, frizzante e piacevole dopo una lunga salita come quella appena conclusa.

Un triste appunto sulla discesa, durante il percorso purtroppo ci imbatteremo su alcune discariche abusive a bordo strada. Purtroppo ancora oggi c’è gente incivile, che non curante anche della sua salute butta per strada di tutto.

San Giuseppe Jato o San Cipirello sono il punto ideale per prendere un caffè, prima di riprendere il nostro percorso, e per fare un nuovo rifornimento d’acqua. Usciti da San Cipirello, troveremo un quadrivio, dove prenderemo la strada di fronte a noi (SP4). Un’interessante deviazione al percorso o una nuova pedalata può essere la svolta a sinistra che ci consentirà di imboccare la vecchia linea ferrata che ci condurrà prima a Case D’Alia e dopo alla svolta per raggiungere il parco archeologico di Monte Jato di cui case D’Alia e il museo e percorrendola tutta potremmo arrivare a Piana degli Albanesi.

Ritornando sul nostro percorso imbocchiamo la SP4 per 10 chilometri e raggiungeremo Pizzo di Pietralunga, un “faraglione” in un mare verde. Questo luogo insieme al fiume Jato e al monolite di Monte Arcivocalotto formano un primordiale calendario solare, infatti nei giorni tra il 20 ed il 24 dicembre, il sole si trova perfettamente in linea sopra il Pizzo di Pietralunga e attraversa il foro nel monolite di Monte Arcicavallotto. Dopo aver superato Pietralunga mancano solo 5 chilometri per raggiungere Borgo Schirò.

Borgo Giacomo Schirò è un borgo rurale a meno di 10 chilometri da Corleone, ma in territorio di Monreale (da cui dista 23 chilometri), costruito alla fine degli anni trenta per favorire la colonizzazione dei latifondi siciliani, permettendo ai contadini di vivere nei pressi delle terre che coltivavano ed evitare l’emigrazione verso le città.

Oltre a una ventina di abitazioni per i contadini il borgo comprendeva una chiesa con la canonica, la scuola elementare, con la casa per la maestra, per impartire un’educazione ai figli dei contadini, un negozio di generi alimentari, un tabacchi, una sala da barba, un ambulatorio medico con annesso ambulatorio antimalarico, botteghe per artigiani, un ristorante e una fontana. Oltre agli edifici istituzionali come il Municipio e la caserma dei Carabinieri.

Il borgo iniziò a spopolarsi alla fine degli anni '50, neanche la riforma agraria e il trasferimento di competenze all’ESA (Ente Sviluppo Agricolo) riuscì a mantenere in vita il borgo. Fino agli anni settanta rimase attivo solo il negozio di generi alimentari e tabacchi, che chiuse a causa delle continue ruberie e danneggiamenti. La parrocchia resistette fino al 2000, dopo di ché il parroco chiese di essere trasferito a nuova parrocchia. Ora il borgo è completamente abbandonato con le strutture in pessime condizioni e in parte crollate, la vegetazione ha invaso strade e edifici.

Lasciamo Borgo Schirò per cominciare il ritorno. Imbocchiamo il viale che ci ha condotto al borgo e al bivio prendiamo a destra sulla SP92, dopo poco più di tre chilometri svolta a destra in direzione del Santuario di Maria Santissima del Rosario di Tagliavia, che raggiungeremo in 7 chilometri.

L’attuale struttura del santuario nasce all’inizio del ‘800 con la creazione della chiesa e dell’eremo. La tradizione vuole che l’effige della Madonna del Rosario, sia stata trovata dagli affittuari del feudo intorno al 1700, smuovendo delle pietre per la creazione di un ovile. Le pratiche devozionali cominciarono quasi subito anche per l’affioramento di una sorgente ritenuta dagli effetti taumaturgici. Infatti si pensava che gli armenti ammalati abbeverati con l’acqua di questa fonte, miracolosamente guarissero.

Fino al 1800, l’effige veniva venerata in una chiesetta, opera dei primi eremiti che si radunarono spontaneamente. Successivamente al 1811 Ferdinando I di Borbone, che si recava al santuario dalla sua residenza di caccia di Ficuzza, avrebbe sperimentato i poteri taumaturgici dell’acqua (colpito da un male non definito al ginocchio bevve l’acqua e guarì). Per riconoscenza regalò terreni, un assegno annuo e cento carri di legna da ardere ogni anno al santuario che così poté iniziare la costruzione dell’attuale santuario e annesso Eremo.

L’eremo fu abitato fino al 1965 dagli eremiti, successivamente fu affidato all’ordine dei Benedettini e in seguito divenne parrocchia. Dal 2012 è stato affidato alla comunità di frati e suore di Maria della Famiglia Mariana le Cinque Pietre. Nel santuario, oltre alla chiesa e l’eremo annesso, sono presenti una casa del pellegrino e una sala del pellegrino, dove poter acquistare generi di prima necessità e rifocillarsi.

Lasciato il santuario riprendiamo la strada sulla SP42 che ci condurrà fino alla statale SS118, che percorreremo fino al bivio per il borgo di Ficuzza e la sua Real Casina di caccia, poi a Marineo (che attraverseremo) fino a Bolognetta per un totale di 22 chilometri. Arrivati alla rotonda di Bolognetta prendiamo la terza uscita sulla SP77 in direzione di Misilmeri che raggiungiamo dopo 9 chilometri. A Misilmeri proseguiamo in direzione di Villabate e poi Palermo per gli ultimi 18 chilometri.
L’ultima parte del percorso, da Marineo in poi, diventa abbastanza trafficata, con un aumento consistente del traffico nel tratto dopo Villabate fino alle porte di Palermo per rientrare in Corso Calatafimi.

Abbiamo terminato il nostro percorso, impegnativo e intenso, con molti saliscendi per tutta la durata della pedalata, ma i colori, i suoni e gli odori ripagano di tutti gli sforzi fatti. Un consiglio che voglio dare è quello di partire presto, personalmente sono partito alle ore 6.15, per evitare il traffico mattutino e poter fare la lunga salita iniziale con l’aria fresca del mattino
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