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È una delle parole più usate in Sicilia: cosa c'entra l'arte di "murritiare" col formaggio

Un termine che è anche un passatempo, un modo per scacciare la noia o per dare vita a una caciotta dalla forma molto particolare. Vi raccontiamo la sua storia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 23 ottobre 2023

"I Murriti"

Oggi c’è vento, ho deciso! Cioè, non è che c’è vento perché l’ho deciso io… non sono mica il Padre Eterno.

Semplicemente è ottobre e si è alzato uno strano scirocco di quello che il sudore ti appiccica la maglia nelle spalle tipo muta da sub e le cervicali si fanno una partita Tressette con le vertigini. Marzo è pazzo ma ottobre manco babbìa.

Meglio non uscire, meglio stare dentro per non fare la fine di Fofò Archimede che un tempo si diceva fosse intelligentissimo, poi un giorno di scirocco uscì per comprare le sigarette in orario di punta e per il potente caldo si rincoglionì trasformandosi nello scemo del paese. La cosa migliore è rimanere a casa e murritiàre.

Non importa con che cosa: murritiàre per passarsi il tempo. Certo, perlopiù oggi si murritìa col telefono e il tempo va e passano le ore.

Facile così, un po’ ti fai i fatti del tuo vicino di casa che posta tutte le foto con le dita in segno di vittoria ma poi non si capisce cosa ha vinto, un po’ guardi e sparli sul vestito da sposa della cugina di tua cugina che voleva somigliare a Grace Kelly ed invece ha finito per prendere le sembianze di un Tampax, un po’ se fuori piove e sei depresso vai a controllare il profilo del tizio che si è messo con la tua ex e ti riprendi immediatamente.
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Una volta ci voleva più fantasia per murritiàre, altro che telefoni.

Si murrìtiàva per noia o per un sacco di altri motivi. Io per esempio murritiàvo con le graffette da ufficio cercando di farle diventare a forma di cuore nel tentativo di sfuggire dallo sguardo di quella foto di Gesù che ovunque ti spostavi sembrava ti guardasse sempre.

Invece Zio Aspano murritiàva con l’antenna perché nonna Michelina si doveva guardare “Ok il prezzo è giusto” mentre murritiàva con i ferri da maglia, per fare una sciarpa a zia Agatina che soffriva di cervicali e intanto murritiàva con la caffettiera perché il caffè non voleva uscire.

Murritiàre: operare insistentemente su qualcosa, stuzzicare, provocare, infastidire. Un termine quotidianamente utilizzato nella Sicilia tutta, di cui sappiamo perfettamente il significato ma che non abbiamo idea da dove provenga. Beh, a volte, come in questo caso, la realtà supera l’LSD.

Per una volta, quindi, murritiàmo col telefono e invece di andare a Miami o Bangkok con Google Maps (tanto piccioli non ce ne stanno) facciamo meno strada e spostiamoci vicino casa, a Castel di Lucio, un piccolo comune in provincia di Messina. Fino al 1863 era conosciuto come Castelluzzo per via di un piccolo castello costruito sulla Rocca.

Nonostante fosse assoggettato alla potente famiglia dei Ventimiglia, il nome Castelluzzo compare per la prima volta nel 1271 quando quel bello spicchio di Carlo I d’Angiò lo affidò ad un certo Giovanni da Montfort.

E anche se a qualcuno magari non interessa, Giovanni in realtà era un ragazzetto ancora minorenne, figlio di Filippo II signore di Castres, che rimasto orfano di madre venne a vivere in sud Italia dove accumulò numerosi possedimenti, comprese le terre di Geraci.

La seconda volta che viene nominato Castelluzzo è nel 1283 - un anno dopo i Vespri siciliani, durante il quale proprio Giovanni da Montfort fu nominato in alto grado per sedare la rivolta siculo/aragonese- in occasione del frodo imposto dal nuovo sovrano Pietro d’Aragona, salito al potere proprio dopo la cacciata degli angioini.

No, non c’era nessun hobbit che aveva il compito di portare l’anello nella terra di Mordor, semplicemente il “frodo” era un contributo obbligatorio che i cittadini dovevano versare per campare il re.

Come tanti altri piccoli centri siciliani, negli anni Castelluzzo continua a passare di mano in mano da uno che ha debiti ad uno tiene li sordi e di fatto giunge fino a noi senza mai espandersi più di tanto, senza mai perdere i suoi connotati.

Quello che invece è strabiliante è che il termine "murritiàre" nasce e si espande proprio da Castel di Lucio, e questi signori che si facevano le guerre fra loro questa volta non c’entrano niente. Tutto, contrariamente, parte dai pastori di questo luogo, grandi maestri nel murritiare ovvero nell’arte dei "murriti".

Dovete sapere che "murriti" in realtà sono (ed erano) delle statuine di caciocavallo a cui viene data solitamente la forma di animali: cavalli, capre, mucche, uccelli e tutta la fauna che un pastore è abituato a vedere ogni giorno.

Magari molto più antica come tradizione, ma che viene effettivamente ufficializzata solo nel 1892 grazie ad una mostra etnografica installata all’interno dell’Esposizione Universale di Palermo.

Mani grandi, mani forti, che invece tenevano la raffinatezza artistica e la precisione quasi chirurgica di ricreare animaletti di caciocavallo, si dice per rendere più appetibile il formaggio ai bambini a cui poi queste piccole sculture erano destinate.

Murritiàre in tal senso non è assolutamente operare insistentemente quasi per ammazzare il tempo, quanto avere infinita pazienza da dedicare ad un’operazione che richiede tempo e precisione.

Questa è la storia di una delle parole più utilizzate ogni giorno in Sicilia la cui magia non risiede in un anello fatato ma nelle mani dei pastori.

E già che lo scirocco si è calmato e sta calando un po’ di venticello pomeridiano, smetto di annoiarvi e scendo a murritiare con la bicicletta perché a qualche simpatico figlio di Montfort è venuta la simpatica idea di fregarsi i tappetti delle ruote.
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