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"Cu lu tuppu o senza tuppu": la brioscia siciliana è anche una dichiarazione d'amore

Se avete voglia di far sorridere qualcuno in questo momento storico così difficile e complicato, ecco per voi la storia di una ricetta utile a far tornare il buonumore

  • 15 novembre 2020

Brioche col "tuppo"

"In Italia il cibo è una forma d’arte, in Sicilia una religione", ha scritto Rick Steves. Ed effettivamente non ha tutti i torti. Soprattutto se pensiamo ai litigi che certi gesti a tavola possono provocare.

Uno su tutti? Rubare il “tuppo” al nostro commensale.

Guai a provarci con un siciliano: basta una sfrontatezza del genere, fatta con leggerezza, per distruggere amicizie storiche o scatenare guerre familiari in men che non si dica. D’altronde, che sia granita o gelato ad accompagnare la brioscia, mangiarli inzuppandovi il “tuppo” non è forse un’azione naturale che si tramanda di generazione in generazione nei secoli dei secoli?

Da quanti non è dato saperlo con precisione, ma c’era un tempo in cui le famiglie aristocratiche chiedevano ai propri cuochi nuovi e sorprendenti piatti. E così leggenda vuole che il cuoco di una non precisata famiglia nobile, alla richiesta di qualcosa di morbido e leggero dove spalmare la marmellata a colazione, inventò proprio la “brioscia” siciliana.
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Una ricetta così deliziosa - sfidiamo chiunque a dire il contrario - che in breve tempo non solo conquistò la famiglia, ma si diffuse un po’ ovunque diventando una delle ricette tipiche e più conosciute della nostra isola. Attenzione, però, a non chiamarla “brioche” perché, al contrario di quanto si possa pensare, sono stati i francesi a prendere in prestito il nome siculo e a trasformarlo: non lasciamo il merito delle nostre deliziose creature agli altri.

Se c’è una cosa che dobbiamo ai cugini francesi, piuttosto, è la parola dialettale “tuppo”, che indica l’acconciatura tipica delle danzatrici: lo chignon. In normanno, infatti, lo chignon si chiamava ‘toupin’, in gallico ‘toupeau’ e in francesce moderno ‘toupet’, da cui il nostro siciliano ‘tuppo’.

Ma c’è di più. Secondo quanto tramandato da uno scioglilingua della nostra tradizione, la forma tipica della brioscia sarebbe legata a una travagliata storia fra due giovani, il cui amore fu ostacolato dalla madre della ragazza che portava lunghi capelli raccolti sulla nuca.

La fanciulla, per il dolore e come atto di ribellione, avrebbe perciò tagliato la chioma: quella dote che la rendeva irresistibile agli occhi di tutti, compreso il suo innamorato. Il gesto commosse a tal punto la madre che finalmente acconsentì al fidanzamento.

Ed è per questo che si dice: «Cu lu tuppu un t’appi, senza tuppu t’appi. Cu lu tuppu o senza tuppu, basta chi t’appi e comu t’appi t’appi» (con i capelli raccolti sulla nuca non ti ho avuta, senza capelli raccolti sulla nuca ti ho avuta. Con i capelli raccolti o senza capelli raccolti, basta che ti abbia avuta, comunque ti abbia avuta).

Poteva non entrarci in qualche modo l’amore, anche se alla lontana? D’altronde, se c’è una cosa certa è che donare il “tuppo” della briosca è la più grande dimostrazione d’amore, o dichiarazione a seconda dei casi, che si possa fare a una persona.

Avete voglia di far sorridere qualcuno in questo momento storico così complicato? Avete trovato la ricetta per fare tornare il buonumore.
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