SANITÀ

HomeNewsAttualitàSanità

Covid-19, i sanitari di Palermo si raccontano: «Abbiamo temuto l'arrivo del paziente uno»

L'Ordine degli Psicologi di Sicilia si addentra fra i sentimenti che hanno vissuto e vivono ancora medici e familiari: ecco le paure più grandi e le loro speranze

Balarm
La redazione
  • 3 giugno 2020

Un "abbraccio protetto" fra due medici impegnati contro il Covid (foto ministero della Salute)

L’apparenza è che sia già distante da noi, invece il Coronavirus si porta ancora dietro strascichi importanti ed è ora, sotto il profilo psicologico, che possono invece emergere situazioni di disagio fra paure e voglia sfrenata di ricominciare.

E fra le persone ancora in prima fila ci sono certamente i sanitari e i pazienti, ancora impegnati giorno dopo giorno nella lotta alla malattia.

È pensando a loro che l’Ordine degli Psicologi di Sicilia ha voluto sentire gli attori della pandemia per raccontarne alcune delle parti più intime, per vedere da vicino cosa è passato e cosa ancora passa dalla mente dei sanitari così come dei pazienti.

«La cosa che più mi ha messo ansia e preoccupazione - racconta la dottoressa Marianna Perfetto, dirigente medico del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale Cervello di Palermo - è stata l’attesa legata all’arrivo del primo paziente Covid. Avevamo paura di non saper gestire la situazione perché ancora sconosciuta e insieme di infettarci. E’ stato uno stress che siamo riusciti a contrastare con la passione del nostro lavoro.
Adv
Parte della paura, nonostante le tante soddisfazioni per i guariti, è rimasta. Qualcuno ha scelto anche di allontanarsi fisicamente dai familiari. Ecco, sono proprio i legami affettivi ad essere mancati di più.

Ma nonostante ciò siamo riusciti anche in questo, come gli abbracci protetti che siamo riusciti a darci con i colleghi e gli infermieri.

Infine il rapporto con i pazienti, che non hanno avuto modo di guardarci in volto, così come con quello con i familiari, sentiti solo per telefono. E’ stata dura ma ci siamo armati di passione e resilienza».

A questo pensiero si è unito quello dell’equipe psicologica dell’ospedale Cervello, composta da Rosaria Gambino, Antonio Carollo, Gabriella Cinà, Mariangela Marceca e Francesca Nuccio, che ha lavorato a stretto contatto con i medici, i pazienti ed i loro familiari.

«Relativamente alle narrazioni dei pazienti - raccontano - sono emersi, vissuti spazio-temporali di sospensione tra la dimensione del reale e dell’immaginario, angoscia pervasiva legata alla paura di morire e di non rivedere più i propri cari, malinconia per i legami interrotti, quote elevate di natura ansioso-depressiva e manifestazioni post-traumatiche. Trasversalmente si è anche notato un senso considerevole di fiducia nella presa in carico da parte dell’equipe sanitaria.

Per i familiari - invece - il vissuto prevalente è stato il malessere derivato dall’impossibilità di prendersi cura del proprio congiunto, in una dimensione di isolamento che diveniva barriera di confine per l’impossibilità di poter mantenere un contatto fisico. Un lavoro importante è stato infine svolto nell’ottica del supporto all’elaborazione del lutto, resa ancor più complessa dalla scomparsa dei rituali di accompagnamento alla morte, imposta dal distanziamento sociale».

«Come rappresentanti dell’Ordine degli Psicologi - conclude il consigliere Calogero Lo piccolo - siamo convinti che, una volta di più mai con tanta evidenza, i vissuti di chi ha attraversato questa fase acuta della pandemia sono stati molto omogenei, senza grandi distinzioni tra curati e curanti, e che la cura di questi vissuti è il compito che ci attende, al di là del dato epidemiologico».
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI