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Cosa c'entra Palermo con Zeus e il mito di Europa: storie di corna, amori e "aggaddi"

Forse non lo sai, ma c'è un legame tra la Sicilia e una delle leggende più celebri e rappresentate della mitologia greca: ecco quale e perché è così importante

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 26 febbraio 2024

"Il ratto di Europa": metopa del tempio Y di Selinunte, conservato presso il museo archeologico Salinas di Palermo

«Oh Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Ah, rinnega tuo padre!… Ricusa il tuo casato!… O, se proprio non vuoi, giurami amore, ed io non sarò più una Capuleti!»

«Babbasona, Zeus sono!»

Cioè, non è andata proprio così, anche se sarebbe stato bello. Ma Zeus c’era e c’era pure Europa. Quella nella foto, infatti, è una delle più importanti rappresentazioni al mondo del mito di Europa. Si trova a Palermo, precisamente al Museo Archeologico Nazionale “Antonio Salinas”, risale agli inizi del VI secolo a.C. e venne ritrovata il 10 settembre 1892 da Salinas in persona.

La prima volta che il professore Terranova ci portò a vedere il “Ratto di Europa”, il mio compagno Carollo se ne uscì così: «Professo', ma qua succi non ce ne stanno. Io vedo solo il toro…».

E in effetti non aveva tutti i torti…

Europa era una bella ed avvenente principessa fenicia, figlia del re di Tiro, Agenore. Ora, Tiro non era il migliore dei posti in cui fare il re, anche perché è dai tempi dell’Antico Testamento che, non si sa perché, i profeti gli buttano attasso.
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Isaia ne profetizzò la distruzione, Geremia un attacco da parte degli angeli dell’Apocalisse, Gioele addirittura che sarebbe stata annientata dal fuoco come la città di Sidone, mentre Ezechiele devastata dall’esercitò dal re Nabucodonosor.

Capirete bene che erano belle gatte da pelare per il povero Agenore, il quale doveva passare la maggior parte del suo tempo con una mano nei maroni anziché condurre guerre, imprese ed uccidere gorgoni. Per la verità non l’aiutava nemmeno la famiglia, partendo proprio da sua moglie che si chiamava Telefessa (per tutti gli altri Telefassa o Telefe).

A giudicare male si commette peccato, per carità, tuttavia non doveva essere poi tanto incoraggiante affidarsi ad una con quel nome, specie pensando che ogni volta che ti veniva da chiederle un consiglio la trovavi rincoglionita davanti alla tv.

Sotto quel balcone che abbiamo immaginato all’inIzio, invece, avrete capito, ci stava Zeus, che dalla sua aveva ben altre rogne per la testa. Queste rogne si chiamavano: Cilice, Fenice e Cadmo, ed erano i tre fratelli maggiori di Europa. Certo, i nomi - voluti da Agenore - niente di eccezionale, ma sempre meglio di niente, dato che se li avesse scelti la madre li avrebbe probabilmente chiamati: Telemaco, Telescopio e Telecomando.

La verità è che, un giorno, Zeus, vedendola passeggiare in spiaggia, in compagnia delle ancelle, ebbe uno dei suoi novecento novantanove mila colpi di fulmine (d’altronde se non ce li aveva lui chi altro?). Il problema di questi innamoramenti lampo era che il sangue gli confluiva dove non avrebbe dovuto confluirgli, e cominciava pensare con l’altra testa, quella posta nella valle di kazos, dove non batte mai il sole.

Altro che guerre puniche quelle di Zeus… delle vere e proprie guerre pubiche a colpi di Endorfine e Dopamina, in grado di provocare, più che migliaia di morti, migliaia di mai nati. Per disinnescare, dunque, il pubico ordigno, mandò a chiamare di subito il dio Ermes, che fra tutti a mio avviso è il più sfortunato di tutto l’Olimpo perché il suo ruolo è quello di fare il messaggero degli dei.

Io al posto suo mi sarei pure inkazzato durante la spartizione dei super poteri: «ma perché a Dionisio u vino, e a mia u postino?!».

Insomma, lo fece arrivare dalla Grecia con la posta prioritaria e gli chiese di dirottare i buoi del padre di Europa fino alla spiaggia ch’ella era solita frequentare. In quel preciso istante Zeus si trasformò in un bellissimo toro bianco, mescolandosi ai bovini, e raggiungendo la preda, al cospetto della quale si distese.

Detto fra di noi, Europa non era proprio un’aquila, anzi, forse era davvero babbasona. Dici: «Vabbè, ma che pretendi? In fondo figlia di Telefessa era». Eh no, magari ne avesse preso un pelo da quella, almeno si sarebbe vista qualche documentario ed avrebbe saputo che il toro bianco è una figura mitologica che risale agli albori della civiltà.

Era spesso così raffigurato il dio sumero Marduk, era anche un toro bianco il destriero del dio indiano Shiva, e via discorrendo. Per farla breve, Europa si avvicinò al toro, gli fece quattro carezze, infine gli si sdraiò sopra. Zeus non aspettava altro, ingranò la marcia a tipo Tano Ballarò ai tempi che spadroneggiava con l’ape 125 nel circuito cittadino "case popolari-via Fichidindia", e tirò dritto fino all’isola di Creta.

La cosa più bella è che, come è noto, i tori non volano e che quindi Zeus dovette farsela a nuoto, costringendo pure Europa a fare lo stesso. Giunti finalmente in luogo franco, il padre di tutti gli dei dell’Olimpo, fece la cosa che sapeva fare meglio in vita sua: fare all’amore.

Dall’amplesso nacquero immediatamente tre bambini: Minosse, futuro re di Creta, Radamanto, che poi diventerà giudice dell’Oltretomba, e Serpedonte, guerriero e alleato di Troia. Per ringraziarla dei dolci momenti e della prole, Zeus le donò un cane da caccia, un robot di bronzo (che con buona possibilità doveva essere l’antenato del Bimby) e un giavellotto infallibile.

E mentre nella lontana isola di Creta si consumava tutto ciò, in quel di Tiro, i tre fratelli di Europa, Cilice, Fenice e Cadmo, notandone l’assenza, si sgamarono la cosa, andarono su tutte le furie, ed organizzarono una spedizione punitiva contro o figlio e ‘ntrocchia.

Questa storia doveva essere così famosa ai tempi, che decisero per l’appunto di scolpirla nel tempio denominato “Y” sull’acropoli di Selinunte, forse proprio a monito del fatto che: prima di guardare una femmina è meglio contare quanti fratelli ha.

Per quanto riguarda la vendetta di Cadmo, Fenice e Cilice, quella è un’altra storia e la conteremo prossimamente, sperando sempre che non finisca ad aggaddi.
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