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Adesso è l'ora della Cultura: soltanto così potremo immaginare la via del futuro

Nel momento di massima crisi del sistema, la cultura è chiamata a svolgere un ruolo di riferimento e di possibile guida non solo per il suo comparto ma per la visione di tutti

  • 17 aprile 2020

Gandalf dal film "Il Signore degli Anelli"

L’immobilismo assoluto di pochi giorni fa comincia a lasciare posto ai tipici suoni di una città in movimento, per quanto ancora timido.

Dalla finestra di casa mia vedo il traffico decisamente aumentato, più gente per strada. Le misure di clausura, giuste e sbagliate che siano, hanno ormai esaurito la loro forza catartica, e dopo l’episodio della grigliata sul terrazzo allo Sperone, bloccata con un elicottero e con conseguente sequestro della “sosizza“, hanno perso parte della inossidabile credibilità; una credibilità che ci ha fatto accettare con certezza e sicurezza un insieme di provvedimenti orwelliani, che chiamiamo fase 1, quali il male minore e la sola possibile strada per salvarsi da morte certa.

In questo gioco, chi aveva il dovere di prendere decisioni le ha prese con modalità sempre più rigide, in una corsa che, ad un certo punto, è sembrata più che altro una rappresentazione esterna di efficienza, che un atto in sé efficiente. Scelte che hanno avuto anche bisogno, man mano, di essere corroborate costruendo la propaganda del "modello italiano" imitato in tutto il mondo. Ci siamo ubriacati della nostra paura, e delle nostre soluzioni. E come un ubriaco in piena sbornia, crediamo alla realtà che ci siamo raccontati perché è la sola che vediamo e che quindi esiste.
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Io ho amici in vari paesi d’Europa ed il cosidetto "modello italiano" non mi pare affatto un modello internazionale. Non mi risultano, ad esempio, molti i paesi che abbiano vietato le attività fisiche all’aperto, criminalizzando i corridori, o che hanno chiuso i parchi ai bambini, e credo solo la Francia preveda una qualche forma di autocertificazione per uscire di casa.

Sia chiaro, non dico questo perché intendo sostenere che il modello italiano sia sbagliato, intendo solo evidenziare quanto il nostro governo ha avuto il bisogno di confermare le scelte con una narrazione spesso molto teatrale delle stesse.

La nostra società si è concentrata sull’azione reattiva al grande “nemico”, il virus, contro il quale abbiamo ingaggiato una “guerra”, ed ha avuto bisogno di farsi coraggio con slogan nazional popolari come «insieme ce la faremo» ed «andrà tutto bene».

Se guardiamo alla struttura della nostra società, a come ha agito e sta reagendo, io temo invece abbiamo ben poche ragioni di ottimismo. In ragione di un grande assente.

E per una volta, pur tra grandi limiti ed inadeguatezze, non è la politica l’assente. La politica, ormai questo credo di averlo chiaro, si occupa soprattutto del presente. Non ha la capacità, e forse neanche il compito o la responsabilità del futuro.

Il progetto della società spetta alla cultura. È la cultura che ha il compito di analizzare la società presente e proporre ed immaginare dei possibili modelli alternativi, sui quali poi sollecitare il confronto nella società.
Il coronavirus ha demolito la società nella quale eravamo, scuotendola alle fondamenta, e mentre quel palazzo crolla e siamo tutti in fuga, non esiste alcuna altra ipotesi sul campo di altri palazzi da abitare, manca un progetto ed una visione altra di società possibile.

La cultura è il ventre molle del sistema, è un comparto che necessita di finanziamenti per vivere. Aveva in questo frangente l’opportunità di essere lo zoccolo duro, a fronte di tutti i sistemi sociali che stanno sgretolandosi poteva mantenere la barra dritta, sollecitare una riflessione sul modello di società che ci ha portati fin qui, e sui possibili modelli di società future. Aprire un dibattito che potesse andare oltre la contingenza. Una riflessione che sapesse rassicurare la fragilità emozionale che certamente tutti abbiamo subito, accompagnandola con una possibile visione di mondi diversi.

La cultura ha inteso ancora una volta se stessa come intrattenimento, come sollazzo per distrarre la cittadinanza. Da qui sono partite una serie di performance gratuite sul web, bene inteso ottima iniziativa, ma che ha messo in evidenza, a mio avviso, l’incapacità del comparto, in Italia e parimenti in Sicilia, di essere parte sociale, elemento chiave di una riflessione su cosa siamo e su cosa saremo quando tutto questo sarà volto al termine.

Nel momento di massima crisi del sistema, nel quale lo stesso comparto pagherà il prezzo economico più alto, era la cultura chiamata a svolgere un ruolo di riferimento e per una volta dimostrare che un comparto, peraltro uno così strategico, sa pensarsi altro da se stesso.

Nel signore degli anelli, Gandalf, per rispondere alle incertezze di Frodo circa la complessità dell’incarico a lui assegnato, gli dice ad un certo punto: “se tu non troverai un modo, nessuno potrà”. La mia sensazione è che se la cultura, intesa come la nostra capacità di astrazione che ci consente di immaginare le cose in modo alternativo da come sono, non troverà un modo, nessuno potrà.

Non so se il problema è l’assenza di intellettuali di spessore, l’incapacità dell’arte e della cultura di svolgere un ruolo intellettuale sommersa dai tuttologi opinionisti di turno, fatto sta che al momento mi pare non sia neanche entrata in partita.
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