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A tavola con l’imperatore in Sicilia: cosa si mangiava un tempo tra flessuose danzatrici

Nei banchetti dello Stupor Mundi le musiche esotiche, i profumi speziati, le seducenti danze e le appetitose pietanze dovevano stimolare tutti e cinque i sensi

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 6 maggio 2024

Lo tavola dello "Stupor Mundi" (foto dal sito Mondo Mangiare)

Dal biancomangiare (con pollo e lardo) ai colombi arrosto spalmati di miele, passando per l’aschipescia e arrivando al digiuno salutare…ecco come si mangiava alla corte dello Stupor Mundi.

L’imperatore Federico II di Hohenstaufen dotato di una personalità poliedrica e affascinante, è stato re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero. Il suo regno è stato caratterizzato da una forte spinta di innovazione artistica multiculturale contrastata dal Papato (di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale).

Federico nacque nel 1194 dall’ultima regina normanna, Costanza d’Altavilla e dall’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VI Hohenstaufen, figlio di Federico Barbarossa. Rimasto presto orfano, venne educato a corte, in una Palermo multietnica e multiculturale, senza riuscire mai a estinguere la sua inesauribile sete di nuove conoscenze e di nuove esperienze.

Da adulto fu anche letterato, protettore di artisti e studiosi: la sua corte in Sicilia fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica.
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Il sovrano nutriva molte passioni come la caccia al falcone, l’arte, la poesia, la cabala…e anche la gastronomia.

Tra il 1230 e il 1250, fu la mente ispiratrice di due libri di cucina "Il Meridionale" e il più celebre ricettario "Liber de coquina", la prima raccolta del sud Italia di 172 piatti in cui è ben rappresentata la diversità culturale del regno, la tradizione latino-germanico, quella siculo-musulmana, quella siculo-giudaica: 43 pietanze di verdura, 71 di carni, 18 di uova e pasticci, 26 piatti di pesce oltre a 14 elaborazioni gastronomiche di complessa preparazione.

Si tratta di un manuale di cucina d’impostazione scientifica; tutte le preparazioni sono classificate infatti secondo le materie prime e vengono suddivise in cinque capitoli sul modello della trattatistica medica: verdure, carne, uova e latte, pesci, cibi composti.

Attraverso i ricettari si spalanca il mondo gastronomico della Sicilia federiciana dove l’imperatore, attorniato da scienziati, letterati, poeti era solito offrire fastosi banchetti.

Musici e cantori, poeti, esperti giocolieri, sensuali danzatrici sapevano intrattenere e stupire il sovrano e i suoi ospiti e tra una degustazione e l’altra, scorreva la conversazione. Il re letterato Federico (alla cui corte era nata la scuola poetica siciliana) ricreava nella sua corte i cenacoli colti e sfarzosi dei califfi di Baghdad, dove oltre alla poesia anche il buon cibo diventava oggetto di erudite disquisizioni.

Nei banchetti del sovrano musiche esotiche, profumi speziati, seducenti danze e appetitose pietanze dovevano stimolare tutti e cinque i sensi: la tavola era apparecchiata con tessuti dai colori accesi (giallo oro, rosso melagrano) e suppellettili preziose.

Le pietanze erano presentate in modo molto coreografico, in particolare la cacciagione: gli animali venivano ricomposti ad esempio, come se fossero ancora vivi e portati in tavola; gli uccelli venivano presentati con il loro ricco piumaggio.

Il gusto gastronomico allora vigente prediligeva grandi quantità di carne: cervo al pepe, polli al lardo, lepri, colombi spalmati di miele, pavoni, cigni e aironi; anatre, fagiani, capponi.

I volatili venivano spesso catturati dai falchi che Federico stesso addestrava alla caccia. Nella preparazione dei piatti l’imperatore sostituì l’uso eccessivo delle salse speziate, che servivano a nascondere l’odore delle carni non perfettamente conservate, con erbe aromatiche (basilico, salvia, prezzemolo, timo, menta) imponendo il consumo esclusivo di carni fresche.

Le saporite pietanze della cucina federiciana, preparate con rara perizia culinaria da Berardo, cuoco di corte sin dai tempi della Crociata, venivano servite con garbo ed eleganza da flessuose fanciulle saracene. La cena iniziava con il consumo di insalata e frutta (soprattutto agrumi e uva) per preparare lo stomaco alle prelibatezze successive.

Seguivano le zuppe (cucinate con verdura oppure con farro o cereali) oppure il "biancomangiare" che all’epoca era una crema preparata solo con ingredienti “bianchi” come riso molto cotto, filetti di pollo, mandorle, latte, zucchero, lardo.

Veniva poi servita la selvaggina, cotta allo spiedo e condita con le salse ricercate della cucina federiciana, a base di vino, olio, aglio, mollica di pane, uva acerba e cipolle. Il pollo di solito era accompagnato dall’agliata”, una salsa d’aglio con vino ed aceto.

Non da meno della carne Federico amava il pesce fresco, arricchito con una salsa verde a base di salvia, prezzemolo, timo, aglio e pepe. L’aschipescia, il suo piatto preferito, era preparato con anguille grasse del lago di Lesina (in provincia di Foggia) tagliate a tocchetti, fritte e ancora fumanti affogate in aceto forte di vino bianco.

Non potevano mancare le verdure e le erbe spontanee lesse (borragine, finocchietti, cicoria), i funghi (cotti conditi con olio, aglio, prezzemolo tritato, alici e succo di limone).

Nella cucina federiciana non si usava il pane, ma croccanti e leggere fette biscottate, fatte con formelle e realizzate con un impasto di farina di frumento, latte, miele e burro, e poi cotte nel forno a legna. Infine, il piatto più atteso dai commensali al termine della ricca cena era il coreografico arrosto trionfale: il cinghiale.

Seguiva il dessert: pane speziato e dolci al miele, fra i quali le celebri frittelle imperiali a base di formaggio di mucca, chiaro d’uovo, farina, pinoli e uva passa. Per bilanciare il consumo di tanta carne arrosto di cui il sovrano si nutriva durante i banchetti, Federico era solito cibarsi spesso solo di biscotti e miele, per disintossicare l’organismo.

La passione per la gastronomia non impediva infatti all’imperatore di avere un approccio salutista, probabilmente ispirato alla scuola medica salernitana: dopo la caccia l’imperatore piluccava violette candite, che reputava ricche di poteri terapeutici e inoltre era solito consumare un solo pasto al giorno (un antesignano delle attuali tendenze dietetiche che applicano il digiuno come pratica salutare).

L'atteggiamento scientifico della mentalità del sovrano dunque si riflette anche nell'attenzione per la dietetica e nella conseguente scelta di seguire giornalmente uno stretto regime alimentare, con grande scandalo dei suoi detrattori, che accusavano il gaudente filoislamico Federico che verrà condannato da Dante tra gli epicurei, di rinunziare al cibo solo per motivi di salute e non per conquistarsi il Paradiso!

Il viaggio culinario attraverso i ricettari legati alla corte di Federico II permette al lettore dunque di riscoprire la fastosa cucina della corte palermitana, ricca di influssi arabi, giudei, normanni e svevi.

Bisogna ricordare che già all’inizio del Trecento, attraverso la mediazione toscana, questa prima forma di cultura gastronomica ‘italiana, nata insieme alla poesia siciliana, si affermerà da un capo all’altro della Penisola.

Fonte: A. Grasso, Il banchetto alla Corte di Federico II.
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